Cordepazze L’arte della fuga, recensione
La follia ci porterà a ragionare
Ci sono dischi che possiedono nella loro diretta semplicità un’energia vitale, che li rende nel loro piccolo unici. Ci sono dischi che sorprendono, portando l’ascoltatore a premere il tasto loop. Ci sono dischi che non hanno nessuna speranza di finire nel polveroso dimenticatoio.
Ladies and Gentlemen ecco a voi I Cordepazze, brillante quartetto della Trinacria dedito ad un cantautorato arguto, ironico e per certi versi inusuale. La band, attiva dal 2007, offre una sorta di “rivalutazione del pop”, incastonata tra gentili rimandi demodé e surrealismo pittorico dalle accorte pennellate sonore.
A brillare dietro le accattivanti partiture, troviamo la voce pulita ed ammaliante di Alfonso Fofò Moscato, punta di un iceberg costruito sulle intelaiature musicali di Francesco Incandela, Eggy e Vincenzo Lo Franco, musicisti abili nel fornire alle strutture sonore un sapore delicato e ragionato, senza dimenticare venature alternative ed inaspettati andamenti armonici.
Ad invitarci tra le folli corde è l’opener La digos, traccia d’impatto, in cui una chitarra acustica si sposa in maniera diretta con la voce piacevole e avvolgente del frontman, che per certi versi sembra ricordare il miglior Moltheni. Gli interessanti back voice vengono supportati da un beat vitalizzato prima dagli archi e poi da un drum set pronto a fornire una corposa linea portante. L’interesse per il riffing cresce poi con Ora pro no, il cui sarcasmo in Zen Circus style si mescola a curiosi giochi lessicali che aprono la via ad uno dei migliori brani di questo full lenght: Credi a me. Le note appaiono come piccole gocce cadenti di una semplice intelaiatura. Nel suo pizzicato la storia narrata racconta i primi vagiti emozionali di un adolescenza rattrappita, attraverso la voce lavata e precisa che anticipa l’ottimo outro bianco nero.
Invece, con La rivoluzione l’ensemble ci trascina verso un’anima elettro- beat anni ’90, mostrando il suo lato pop elettronico, appoggiato su di un pattern surreale, che sembra volere inquadrare la follia di un mondo sociale estetico e alienante. Se poi in brani come Quello che vorrei trova vita un viatico sinergico tra Celentano e Rino Gaetano, è con il minimale surrealismo di L’arte della fuga che queste Cordepazze trovano la quadratura del cerchio; un tracciato basato su tempi divergenti e brevissimi silenzi, pronti a ripartire attraverso costruzioni dolci e posate, ispirate al concetto di fuga pasilinniana. Le armonie decollano infine verso un armonico influsso terminale che si fa retrò con Svendimilanoed emozionale con Gli scienziati americani, bilanciato atto di un disco che riesce a dare molto di più di ciò che ci si può attendere. Un disco che di certo non finirà nello scatolone dell’oblio.