Collapse into now – REM. Recensione
Un nuovo album dei REM, diciamolo pure, è sempre e comunque un evento che merita di essere raccontato. Certamente si può discutere su alcuni momenti più o meno brillanti della loro carriera, ma la sostanza non cambia: restano la più importante rock band americana.
Personalmente posso dire che anche quando, con alcuni album, sono stati fortemente criticati per il crescente utilizzo dell’elettronica e per una mal celata convergenza verso il pop (mi riferisco, ovviamente alla ideale trilogia che comprende “Up”, “The Lifting” ed “Around the sun”), ho sempre considerato i loro lavori qualitativamente ineccepibili.
A maggior ragione, oggi, non posso che considerare straordinario questo “Collapse into now” nel quale evidentemente fanno il punto della situazione riprendendo spunti di ispirazione dai loro vari album più belli, ma filtrando il tutto attraverso l’esperienza acquisita nell’ultimo decennio.
E così mi è venuto in mente di fare una sorta di gioco, collegando ogni canzone con alcuni cd vecchi dei REM dei quali sembrano delle vere e proprie out-take.
Chi ha amato, ad esempio, quel capolavoro di “Monster”, o l’ottimo “Accelerate”, non potrà non amare il singolo apripista americano (ne hanno scelti addirittura tre…. a secondo dei vari mercati) “Discoverer” o la semi punk “Alligator_Aviator_Autopilot_Antimatter”, nella quale spicca la collaborazione, coerente con l’anima del pezzo, con Peaches.
Allo stesso modo, “Überlin”, o “It happend today” (con quegli storici harmony vocals del bassista Mike Mills, coadiuvato dal mitico Eddie Vedder) sembrano un ritorno ai tempi di “Out of time”. Tempi in cui non si disdegnava l’uso di un mandolino per cucire un bel vestito country addosso ad un pezzo dalla sognante melodia (“Losing my religion” vi dice qualcosa?).
Non manca poi neanche la bellissima piano driven ballad, “Walk it back” che non sfigurerebbe come ghost track di New Adventure’in Hi fi, insieme alla tanto complessa quanto onirica “Blue”, che guarda caso rispolvera un vecchio sodalizio con la Patti Smith, che in quel fantastico disco del 1996 figurava come spalla di Stipe in “E bow the letter”.
Ma lo sguardo verso il passato non si esaurisce qui ed infatti non ci stupiremmo se ci dicessero che la malinconica “Oh my Heart” e la sognante “Me Marlon Brando Marlon Brando and i” sono, in realtà, pezzi scartati, chissà per quale motivo, da quell’irripetibile masterpiece che fu “Automatic for the people”.
I REM dedicano, infine, “Mine smell like honey”agli esordi, ed in particolare al rock grezzo e selvaggio di cui “Document” rappresentò l’apoteosi, anche se forse qui il richiamo risulta di livello meno pregiato rispetto ai casi sopra evidenziati.
Per concludere, a questo punto sembrerà pleonastico aggiungere che consigliamo a tutti i fan del gruppo di Buck e compagni di reperire al più presto il loro nuovo cd, mentre agli eventuali pionieri (ma ne esistono ancora?) suggeriamo di iniziare proprio da questo per poi magari acquistare quelli vecchi, cogliendo eventualmente, a secondo dei gusti personali, i suggerimenti che qui ho tentato di dare.