Ciosi “The big sound”, recensione
Ricordo ancora quando ascoltai Ciosi per la prima volta.
Rimasi stupito e positivamente colpito da due iniziatici elementi: i cromatismi di un timbro unico e riconoscibile ed un innegabile talento espressivo.
Oggi, a distanza di poco più di un anno, ho il piacere di (ri )parlare di Federico Franciosi, attraverso le idee di un disco che, per ammissione del suo autore gioca con sperimentazioni e “avventure” sonore vissute in diversificati studi di registrazione.
Tra il particolare modus operandi e l’amore per la sua Santa Cruz 1934 Mahogany, il nuovo album, narrato con accortezza ed emozioni, si apre con il blues tradizionale di Nashville Blues, per poi inoltrarsi nelle aree cantautorali di Who Looks for Something , acoustic ballad di reale impatto, in cui l’unico difetto appare la profondità dei volumi. L’aurea emozionale però, armata da un impeccabile tecnicismo ed un approccio linguistico perfetto, sembra superare ogni tipo di sbavatura, proprio come dimostra il movimento avvolgente di Mediterranean’s shell, visiva e descrittiva composizione strumentale.
Il disco prosegue poi lieve tra le toniche di Dream guitar sino alla trainante performance di Rolling In my Sweet baby’s Arms, in cui emerge il bluegrass di Lester Flatt, delineando un solco magico, qui disegnato dalla velocità di Ciosi.
Dal sound CCR arriviamo poi alla chiave acustica di My granfather e alla magia espressiva di First Snow, a mio avviso una delle migliori composizioni della nuova release. Sulla stessa linea qualitativa si pongono infine lo sporco blues radicale di Alabama Blues e la dolcezza narrativa di Sylvia’s eyes.
A chiudere l’album (quasi) impeccabile ci pensa invece la natura filmica di Noire e The cyclone of rye cove, magnifica cover dell’omonimo brano di A.P. Carter, indiscusso padre del flap picking.
Insomma… un album che da qualche giorno non ne vuole sapere di uscire dall’ hi-fi.