Ciclope una notte l’inferno, recensione
Io credo nei Ciclope!
Potrebbe finire qui la mia recensione, utilizzando una sorta di laconico epiteto, senza spiegazioni e particolari elucubrazioni, perché oggi la band dell’est italico racchiude in sé parte di quello che manca alla scena italiana. Ovviamente, e sarebbe erroneo non sottolinearlo, il gruppo è fertile ed emozionale, ma pur sciorinando note astute per un easy listenig vestito d’alternativo, mostra ancora limiti e confini.
Ma sento di poter credere in questa band perché, a ben vedere, qualcuno mi dica chi, negli ultimi anni in Italia, è stato capace di produrre un videoclip come “Una notte d’inferno”. Guardate il cartoon d’arte ritagliata, gustatevi gli overlay i movimenti e i perfetti sincroni audio-video, per un vero e proprio post moderno omaggio a Emanuele Luzzati.
Proprio tra le scenografie del clip prodotto da www.toyshirt.it si nasconde l’ ingegno del dinosauro dal solo occhio. Qui tra le narrazioni pittoriche si celano tecnica, accuratezza, originalità e coraggio, elementi che fusi in un unico calderone musicale offrono alle orecchie pensanti una cruda e scura cronistoria del mondo reale, tra mostruosità e cinico verismo ermetico.
Nei Ciclope ritrovo il lato buono dei Six minutes war madness e dei primi Marlene Kuntz. Attinenze che non devono essere valutate come elemento di plagiante riferimento, ma solamente come una sorta di retroterra fruttifero e funzionale.
Il disco, prodotto dalla crescente Greenfog Records e distribuito dalla sempre ottimale Venus, rappresenta il primo capito di una storia musicale assestabile tra il noise rock e l’alternative di impatto, non dimenticando venature post rock e protohc, capace di mescolare sensazioni di inquieta emarginazione, kingiana solitudine e ottenebrante bui dei sentimenti. Un viaggio apatico tra le peggiori percezioni, tra ostacoli ipnotici e umorali. Tredici tracce poetiche trasportate da partiture forse ancora acerbe, ma genuine come i grandi primi dischi di band poi fagocitate dal mainstream. Pertanto godiamoci questo Ciclope, facendoci trasportare inermi dal groove.
L’album si apre con il post rock di “Quando eravamo giovani”, in cui la voce filtrante, funge più da sviluppo musicale che non narrativo, per poi pulirsi parzialmente dopo l’incipit. Il lavoro del vivace basso inizia a raccontare di note piacevoli, che diventano composizione ragguardevole con “Una notte l’inferno”, traccia dal buon groove, insaporita di visualizzazioni retrò, vestite da alternative rock, con i suoi continui cambi di direzioni, tra rallentamenti e ripartenze. Nell’insieme emerge anche il buon lavoro della batteria che si offre a percorsi non troppo lineari.
Se di trascurabile beltà risultano essere i poco decisi episodi di “A occhi chiusi” e “Tre giorni”, degna di nota è invece l’angoscia e l’inquietudine di “Lo farò di nuovo”, in cui i Ciclope sembrano voler dare spazio alle linee di basso, assolutamente non fagocitate dalla sei corde, per un sound nuovo e particolare, non molto facile all’immediato ascolto, ma trainante e coinvolgente.
La chitarra tra riff acidi e diversificati ci porta verso passaggi che divengono talvolta ridondanti ed ipnotici come accade in “Un giorno senza te”, in cui la pulizia vocale anela ad un post rock d’impatto.
Insomma “Una notte l’inferno” rappresenta una perlacea ensemble di storie sintetiche che toccano rock, alternative e soft noise, alternando urlato a narrato… un fenomeno che può diventare di culto proprio come fu qualche anno addietro “Full fathom six”… e per rendersene conto vi basterà ascoltare “Valzer di pecore e numeri”.