Chuma Chums

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Definire i Chuma Chums è alquanto difficile…ci proverò in 5 sintetiche e compresse righe:

“Un arte visiva proto-pulp, che per certi versi ricorda quella di Enrico Macchiavello, si apre ad un pot-pourrì di suoni danzanti, capaci di coniugare generi molto distanti tra di loro, in un crossover di note aperte e irresponsabili, quasi ad inseguire compulsive idee furtive. “

Ad alimentare questa follia compositiva ci pensano questi ragazzi padovani che dal 2002, armati di vernacolo, attraversano la voglia di danzare al ritmo reggae-elenctro-pop-dance.

Questa volta i Tosi de campagna hanno deciso di uscire allo scoperto con il loro Fest on, terza fatica targata Boogie records. Un meltin pot di dialetto, inglese, italiano e spagnolo, che porta la band ai confini di quei palchi che meritano di uscire dal ristretto circondariale, proprio come al tempo fecero i Pitura Freska di Oliver Skardy e come ultimamente sono riusciti a fare Davide Van Der Sfroos e ancor prima Roy Paci.

I Chuma Chums altro non sono che animali da palco, capaci di trasferire (solo parzialmente) la loro naturale carica live all’interno di un contenitore digitale, cercando di conquistare chi ancora non li ha incontrati per la loro strada. In questo full lenght escono allo scoperto le polveri dei side project che hanno deciso di portare avanti, tra acustic moviment, tribal e djset; tanto è vero che l’aspetto più evidente di questo ultimo disco è proprio la variegata armonia di sonorità, che passano, senza soluzione di continuità, da un continente musicale all’altro.

Il disco si apre con un clapping hands da cui fuoriesce il rombo di una moto di grossa cilindrata. La due ruote, non è una motocicletta qualsiasi, ma è quella di colui che para el mundo es el mejor. A danzare in questi ritmi iberici in blando levare è il numero 46 di Valentino Rossi, omaggiato anche da un breve sampler di Guido Meda, inserito nell’outro con le sue urla di passione vera. Se poi Zona nostra, nonostante l’ottimo lavoro di basso di Enrico “Millo” Millozzi, non appare così convincente, di ottima fattura invece sembra essere Patente, brano dall’incipit pop acustico, che si trasforma in seconda battuta in un coinvolgente reggae, che a tratti ricorda la 15 dei fratelli Carruozzo.

In questo frangente, il dialetto rende ancor più merito al sapore da osteria che la band lascia trapelare nella storia segnata da un itinerario enogastronomico, dal quale il protagonista esce salutando la propria licenza di guida. La bella e funzionale voce di Francesco “Checco Cognolato” impreziosisce la traccia che va ad anticipare il sapore danzereccio della titletrack, tanto disincantato quanto spensierato divertissement, assestato tra tribal percussioni e una festante chitarra.

Il viaggio nel party music della band prosegue con la mescolanza di sampler, elettronica e punk air della festante Fakking party band, strutturata attorno ad un itinerario di note inusuali e diversificate. Un piccolo ardito brano trainato dallo scratching e dalle note sintetiche in buona armonia musicale con grezzi riff e voci filtrate. Se poi con Drumdidje si sfiora il prodigystile tra roots e drum’n’bass, con Sottomarina l’intento iniziale appare quello di fondere un’ossatura reggae al heavy riff, reso perfetto dai controcanti di Daniele “El bullo” Russo.

Il disco trascina l’ascoltatore in un vortice di suoni caparezziani, che fuoriescono da Pioggia sul tetto, in cui non si trascura una speziatura hip pop core, che lascia nuovamente spazio alla semplice e bella Grassie, durante la quale appare impossibile rimanere fermi ad ascoltare.

Fest on ci porta poi verso l’uscita con il mantra defatigante di So ham-ham so ed il minimalismo ipnotico di Elektrobura, che tra robotiche trovate e disturbanti sviluppi anticipano la delirante ghost track, degna chiusura di un disco folle e piacevole.