Chiara Rosso – Elemento H2O, recensione.
Provare a crescere, emergere, farsi sentire in questo mercato, in questa attualità, è già in sé ambizioso parecchio e coraggioso altrettanto, quindi benvenuta nella grande avventura a Chiara Rosso, voce bella e promettente per una musica italiana che, quanto a evoluzioni, aspetta sé stessa da tempo senza far nulla, quindi anche senza proseguire a piedi quando non passa nemmeno un pullman scalcinato.
Chiara, dicevamo, ha voce, determinazione, presenza ed un timbro che presenta già alcuni punti di autorevolezza. Si scrive perlopiù da sola testi e musiche, evita il ricorso a cover più o meno titolate sia in ambito pop sia jazz, canta con una spontaneità che non costringe ad affibbiarle d’istinto un paragone ingombrante tra le voci femminili famose… Insomma, ci piace perché salta già un primo importante step in cui cadono molti e soprattutto molte nelle nostrane novità recenti: il dovere di farci sapere se siano conformisti o anticonformisti. Qui invece no, si ascolta musica senza stare di qua o di là su terreni che dipendono uno dall’altro e che quindi stancano identicamente.
Per le note biografiche vi rimandiamo come sempre al sito web ufficiale (non ci piace fare gli incollatori di comunicati!); vi diciamo invece che qui vi aspetta un lavoro fortunatamente libero dalla collocazione-a-tutti-i-costi, che ci auguriamo eviterà in questo modo a Chiara di finire nel novero delle “cantanti jazz”, definizione che oggi sta in un largo confine tra improprio, insensato e dannoso. La sua voce spazia da momenti più leggeri ad altri più ricercati senza cadere in esercizi inopportuni, con qualche colpetto di bravura ma lontana dalla voglia di strafare che ammala tanti debutti.
Permettiamoci di partire con piccole annotazioni: qualche levigatura andrebbe data, a parere dello scrivente, su articolazioni un po’ involute del testo lungo la melodia, o della melodia lungo il testo a seconda di cosa sia nato prima; la metrica è spesso vista e percepita “in giro” come una trappola, ma sta dentro le note (come le note dentro lei) in modi che possono fare la differenza quando parliamo di musicalità. In questo senso uno scrivere “lungo”, discorsivo e slegato dalla necessità del verso cozza talvolta con la costruzione melodica, affaticando un poco l’ascolto. Di uno stesso tipo di levigatura si può parlare in alcuni punti con riferimento ai pattern armonici, peraltro concreti e non banali, che però in diversi passaggi, a voler arrampicarsi su soluzioni poco battute, fanno impantanare il brano, specie quando è il momento di lasciar andare e far fluire l’ascolto… perché anche la semplicità è una conquista. L’esempio più eclatante (ma ce ne sono diversi) arriva con “leggera”, il momento più virato pop, con una piacevole e ben funzionante strofa, un bel groove acustico e una spinta di bella tensione emotiva seguita da un ritornello che, dopo un buon attacco, rinuncia (forse con un tocco di evitabile altezzosità) a compiersi come linearità vorrebbe, e come in fondo servirebbe ad un brano di appeal intenzionalmente allargato rispetto ad altri nella tracklist. Soluzioni certe al tema non esistono, perché il confine non è oggettivo, ma in funzione dell’ambiente che un album crea, dell’atmosfera che un progetto disegna, possono diventare preferibili e coerenti a volte scelte più ardite e perfino ostiche, mentre altre volte, per contro, è una guida più rilassata a rendere il viaggio armonioso.
Questi appunti sono certamente cose che l’esperienza consentirà di valutare e (se li si condivide) recepire meglio di quasi ogni altra cosa, e Chiara sembra avere le carte in regola per poter intervenire dove, sempre a parere dello scrivente, occorre.
La parte “costruttivamente critica”, che comunque come detto lascia ed include ampi margini futuri, non offusca il valore positivo di un lavoro ben concepito, con canzoni solide, atmosfere non monotone, validi arrangiamenti e, strettamente collegati ad essi, un gruppo di musicisti efficace e coerente nei risultati che comprende, tra gli altri, Riccardo Zegna al pianoforte; in particolare è proprio l’apporto pianistico di Zegna ed Enzo Fornione -il pianista quando a suonare non è la “guest star”- a fornire un effettivo, tangibile valore aggiunto in termini non solo stilistici o di estetica (che pure basterebbero), ma anche architetturali lungo tutta la tracklist.
Fa molto piacere che non si tratti di un debutto “strillato”, in cui pirotecnici artifici vengono a voler raccontarci chissà cosa. La sostanza c’è e viene espressa in modo piuttosto diretto, compresi i limiti di affaticamento suddetti che, appunto, possono servire comunque, per individuare evoluzioni future e alla portata di un’artista che ci sembra promettente.
Auguriamo a Chiara Rosso un bel futuro e vi suggeriamo l’ascolto di questo debutto in un mondo della musica in cui, attualmente, quasi tutta la qualità non già nota è affidato a volontà di singoli, a pochissime realtà autonome, mentre le label (pochissime, pure loro) continuano a far business confezionando prodotti che, musica o no, bellezza o no, contenuti o no, rispondano alle richieste del pubblico, come si parlasse di scarpe o bevande.
Giudizio positivo da Music on TNT. Buona fortuna!