Bushi”Bushi”, recensione
Nato da un’idea coraggiosa di Alessandro Vagnoni, il progetto Bushi arriva la luce del debutto attraverso il canale della Dischi Bervisti, pronta a donare il proprio palcoscenico ad un trio di polistrumentisti ( Vagnoni-Scode-Sideri) che cela dietro il proprio ego le ombre di Bologna Violenta, Kingfisher, Ronin e Above the Tree & E-Side.
Il disco, nato come un sorta di concept grafico-lirico, si ispira al mondo dei samurai, qui posto tra “fierezza e disonore, raffinatezza e crudeltà, prestigio e decadenza”, perfettamente inquadrate dall’iniziatica Rolling Head, ciclotimica e schizoide traccia in cui vivono, non solo sensazione divergenti, ma anche anime strutturali, in grado di trainarci verso la distorsione di The Cherry Tree.
Proprio tra le ossature della traccia, la linea vocale, di non troppo discosta dal Weiland di Creep, si allinea ad una metrica narrativa piacevolmente ermetica, ispirata direttamente all’haiku orientale.
L’impronta sonora dei Buchi trova poi il suo apice nella semplicità folle e disorientante di A well aimed blow of Naginata, rock classico pronto a giocare con smalti umorali e polifonici i cui angoli espressivi si pongono tra ripetizioni e spinte southern. Il songwriting minimale offre infine soluzioni interpretative che fungono da narrazione ad un testo para-filmico, perfetto nel raccontare attraverso genialità espressiva ( The book of five rings) e rimandi armonici che aprono l’ascolto ad un target esteso ( That poetry).
Un disco dunque a mio avviso interessante e certamente degno di attenzione, proprio come dimostra Hidden in leaves, distorta punta di diamante al servizio di un’opera limpida e ben strutturata.