Bridgend “Rebis”, recensione
“Ma è un sogno o è la realtà? E se le illusioni sono l’unica cosa reale, allora l’isola esiste. Rebis esiste”
Una fotografia visionaria che sembra voler rappresentare un ego stilistico posto tra progressive, psych e post. Una realizzazione “Concept”uale ardita e coraggiosa.
Ecco a voi Rebis, estraniante opera dei Bridgend.
Un’emozione allucinata ed edulcorata, che mostra i suoi primi passi nell’introduttiva Path to Ys, in cui la destabilizzazione narrativa ci invita a percorrere le prime rette di un viaggio in cui gli effluvi prog-vintage aprono a ridondanze bagnate dalle acque sintetiche di The sunken cathedral, dominata dalla profondità di Gabriele Petrillo. Infatti, proprio la reiterazione del basso pare voler viaggiare all’interno di quel magico e sottile cerchio della cover art. Cerchio definito da zone nodali, in cui la struttura del concept giunge (con Ys) a lambire l’irrequietezza di suoni inusuali, perfetti per accompagnare l’ascoltatore sulle rive di un estraniante non-luogo, parallelismo visionario vicino al mondo di Kass Morgan.
I toni di grigio trovano poi alimento nella perfettibile Rendezvous, neo di un primo atto che si ritrova immediatamente nell’ipnagogica titletrack, composta narrazione armonizzate con trame vicine agli anni ’80, tra aperture emozionali e disgiunte quanto l’immaginifica isola della cover art.
La traccia, di certo tra le più interessanti, apre a sonorità accomodanti e lievi che trovano momenti di indecisione tra le note facili di Threhold, figlia di un rock vestito con abiti popular, pronti a specchiarsi in Tetracedron planus vacuus , il cui incedere sintetico offre al miglior apertura espressiva (di certo) in grado di reggere il peso dell’atto secondo, colmato dalle note avvolgenti di Binah, modulata su intuizioni ambient, e Return to Ys . Una trama argomentativa che volge all’illusoria ricerca di un mondo immaginifico da cui sgorgano elementi carpenteriani, pronti a donare la propria anima ad armonie facilitanti e linearità risolutive (Zain).
A chiudere l’ardire artistico dei Bridgend oltre al “sole nero”, ammaliante e claustrofobica perla surreale, sono le note aperte di Archè, composizione che conferma idee (e pretenziosità) di un disco da immaginare nella solitudine di una ricercata attenzione.
Tracklist
1. Path to Ys
2. The sunken cathedral
3. Ys
4. Rendezvous
5. Rebis
6. Threshold
7. Tetracedron planus vacuus
8. Binah
9. Return to Ys
10. Zain
11. Black sun
12. Archè