Book Of Shadows II – Zakk Wylde – recensione cd
Zakk Wylde (vero nome Jeffrey Phillip Wielandt) è un artista estremamente talentuoso, ma conosciuto solo dagli amanti del rock duro. È ancora giovane quando Ozzy Osbourne, dopo la breve esperienza con Jake E. Lee, cerca spasmodicamente un chitarrista che gli dia emozioni paragonabili a quelle del compianto Randy Rhodes. Il frontman dei Sabbath per fortuna lo nota e lo prende sotto la sua ala protettrice (era il 1988, per l’album “No Rest For The Wicked”) facendolo diventare il leader della sua band. Da quel carro vincente scenderà solo di recente, prima dell’ultimo capitolo (“Scream”). Tuttavia, in tutti questi anni, il gigantesco biondone ha sempre portato avanti il proprio progetto parallelo con i Black Label Society (ben 10 album dal ‘99 a oggi) dopo aver già pubblicato, nel 1996, il suo unico album solista intitolato “The Book Of Shadows”.
Proprio quest’ultimo disco, in realtà, finirà per distinguersi dal resto della sua produzione successiva, molto più pesante, in quanto basato esclusivamente da ballate elettriche su base acustica e, forse proprio per questo, rappresenta un piccolo gioiellino di melodie e tecnica il cui immenso valore artistico è conosciuto solo dai fortunati che lo conoscono e lo posseggono (non facilissimo da trovare nei negozi).
Oggi, a distanza di 20 anni esatti, quella magia ha trovato nuova linfa vitale con il secondo capitolo del “libro delle ombre” e il nostro Zakk fa di nuovo bingo. Le emozioni fioccano in ognuno dei 14 pezzi perché, come sempre, Wylde non solo suona in modo incantevole, ma soprattutto ci mette il suo grande cuore. E, come sempre, è questo che a mio avviso fa la differenza.
Il mood è piuttosto malinconico, quasi dark, e così le sue melodie sanno prendere l’autostrada che porta dritti all’anima, come avviene ad esempio nel bellissimo singolo “Sleeping Dogs”, il cui video, ambientato nel misterioso mondo del Voodoo, contribuisce senza dubbio a lasciare il segno.
I pezzi da citare a dire il vero sarebbero praticamente tutti, non essendoci punti deboli, ma non voglio sottrarmi al gravoso (in questo caso) compito della “segnalazione”. L’apertura di “Autumn leaves”, con la sua tristezza potrebbe essere considerata il manifesto di “Book of shadows II”, evocando in parte le atmosfere di “Black” dei Pearl Jam, ma senza il piano sullo sfondo. Altro pezzo superbo è “Lost prayer”, meno acustica e dal tempo leggermente più accelerato rispetto alla maggior parte dei brani, ma la canzone più bella in assoluto è forse “Darkest Hour” che parla dei momenti più difficili della vita nei quali è legittimo chiedere a chi ci ama se rimarrà con noi o preferisce invece abbandonarci. L’assolo elettrico finale semplicemente perfetto (da far invidia allo Slash più ispirato).
“Eyes of burden” e il finale a base di piano e organo della dolcissima “The King” sono le due ciliegine su una torta di cui sono certo non lascerete neanche le briciole.
Su tutto l’album dominano la voce di Zakk, cavernosa ma avvolgente, ruvida ma calda, che riscalderà e scioglierà lo spirito di chiunque avrà voglia di conoscere un disco intimo di cui difficilmente saprà fare a meno per i prossimi anni. Capolavoro assoluto.
PS: Pur distaccandosi totalmente dal contenuto di Book of shadows, se volete conoscere l’altra anima dell’estro esplosivo di Wylde (qui nell’era di Ozzy) vi consiglio di vedere il video seguente che ho deciso di lasciarvi come chicca…un vulcano in piena eruzione sarebbe meno potente.