Bobo Rondelli e L’Orchestrino A Famous local singer, recensione
Era (su per giù) l’inverno del 1993 quando costrinsi i miei amici ad entrare all’Albatross di Rivarolo, periferico quartiere genovese. Pagando circa 12 mila lire, eravamo pronti ad assistere al mio primo live degli Ottavo Padiglione, dissacrante band livornese sin da subito in grado di esprimere la pungente ironia del decadentismo demenziale, mescolata a note cantautoriali che trovarono poi con il tempo la maturazione della seminale arte iniziatica. Da quel live mi innamorai definitivamente di quella voce calda ed espressiva, che quel giorno mi mandò cordialmente a fare in ****. Eh si! Io giovanissimo e scapestrato in quell’occasione non avevo resistito alla tentazione ed urlai dal sottopalco uno stimolante e provocatorio “Forza Pisa”.
Il mondo di Bobo Rondelli da allora ha avuto modo di girare veloce attorno al suo asse, navigando su onde reggae e melanconia cantautorale, attraversando dolore, piccole e deliziose opere filmiche e dischi raffinati e diretti, proprio come quest’ultima fatica, realizzata assieme all’Orchestrino, brass band labronica, la cui multi-direzionalità offre a Rondelli un genuino appiglio per questo nuovo A famous local singer. l’Album, edito da Ponderosa Music & Art, si offre ai fan ed ai curiosi, immerso in uno splendido digipack opaco, non solo corredato da un booklet semplice ed efficace, ma anche da un pieghevole fotografico che funge da cuore emozionale del packaging.
Prodotto da Patrick Dillet, il disco ci avvolge attraverso le note di tredici tracce date a battesimo dal Bimbo sul Leone, reprise parzialmente rivisitata e ripescata dai flutti di fine anni novanta. Le novità sonore hanno inizio con Il cielo è di tutti , deliziosa opera poetica che sarebbe bello, prima o poi, vedere illustrata in un albo cartonato per bimbi (Il cielo è di tutti gli occhi… è mio quando lo guardo, del vecchio, del bambino,del re, dell’ortolano, del poeta, dello spazzino… ). La poetica che si erge dalle note leggere, tra intuizioni blues e clapping hands, matura in un’abilità narrativa che anticipa l’ironia de Il palloso, da cui l’orchestrino si erge attraverso metodologie viscerali, che si fondono in perfetta sinergia con la vocalità del frontman. Il sapore retrò della lirica ben si affianca alla coverizzazione di 24000 baci e la buscaglionesca Settimo round, poste in accorta alternanza alla tradizione recitativa di Cuba Lacrime ed il sapore swing di Puccio Sterza, durante la quale appare impossibile rimanere inerti all’ascolto.
Il disco si completa poi attraverso introverse intuizioni ( Bambina mia) e blues mal tagliati (Bobagi’s Blues), che offrono lo scheletro per arrangiamenti visionari come quello espresso con La marmellata, traccia cripto estiva che, con la sua velata malinconia, offre l’ennesima chiave di lettura ad un arte vera e diretta: l’arte di Bobo Rondelli.