Bob Marley & The Wailers – Exodus (1977)
Nella storia della musica non accade sovente che nell’immaginario collettivo un genere musicale venga identificato, con un solo artista. Uno di questi rari casi è l’abbinamento pressoché automatico fra il Reggae e Bob Marley.
Nel 1977 il più celebre musicista giamaicano “si rifugiò” a Londra dopo esser scampato a un attentato alla sua vita. Nel contempo, nella sua amata patria si svolgevano le elezioni con in prima linea discutibili personaggi (ogni mondo è paese!) quali Michael Manley (ma guarda un po’ che assonanza!) al cui sfacciato slogan elettorale “Noi sappiamo dove stiamo andando!”, Marley voleva fortemente rispondere per le rime.
Su queste basi personali e politiche Bob pubblicò, insieme ai fedelissimi Wailers, quell’indiscutibile capolavoro dal titolo “Exodus”, evidentemente riferito sia al suo esilio forzato all’estero, ma soprattutto all’invito al suo popolo ad alzarsi contro l’imminente oppressore. Al riguardo, sulla copertina del disco compare anche un sottotitolo “Movement of Jah people”.
La title track contiene un verso che aggiunge anche espliciti richiami biblici: “Sappiamo dove stiamo andando e da dove veniamo, lasceremo Babilonia e andremo nella terra dei nostri padri”.
In pratica intendeva presentarsi a tutti gli effetti come sorta di profeta salvatore dei giamaicani, con tanto di contro-manifesto rivoluzionario.
Le più belle canzoni, a mio avviso, furono però le due ballate, piazzate sul lato b dell’LP, che riguardano invece il tema dell’amore. La prima “Waiting in vain” che parla con delicatezza di un amore apparentemente non ancora corrisposto e la successiva “Turn your lights down low” che considero uno dei pezzi più sensuali di sempre. Non mancavano, infine, accenni a temi più propriamente religiosi (“Heaten”) e riferiti all’amore universale (“One love/Get ready”), sulla scia di altri grandi musicisti contemporanei come Stevie Wonder.
Termino ricordando che il “Time” ha considerato Exodus come il miglior album del secolo scorso il che, nonostante consideri la scelta un po’ troppo estrema, sta a confermare che questo disco ha senza dubbio lasciato nella storia un segno indelebile fatto di ritmo, melodia e “forza della parola”, come in qualche modo ho sinteticamente tentato di descrivere in questa mia breve recensione.