Blugrana
Sembrano passati decenni ed invece il progetto di Marcello Mautone appartiene al secolo in corso. Per la precisione al 2003, anno in cui la voce del gruppo matura definitivamente l’idea di dare concretezza al suo songwriting. Da allora il tempo è cambiato sotto i colpi della metamorfosi di una line up irrequieta, che oggi porta alle nostre orecchie Blugrana, opera ultima del quintetto piacentino.
Un album muscolare, come dimostra la cover art, ben curata da font sgranati e metafora perfetta di uno stile musicale ondulatorio e tutt’altro che delineato, senza pelle né colori. Undici tracce figlie di un’esperienza musicale che sembra essere stata travagliata e detonata da continui ostacoli destabilizzanti. Oggi la band sembra aver ottenuto quella fissità necessaria per volgere lo sguardo al futuro, senza dover patire innovazioni forzate o cambi di direzione improvvisi.
Blugrana, distribuito dalla Lunatik e mixato al Massive art studios di Milano, racconta di storie d’amore e di amicizia, ma riesce con un particolare animo lessicale a toccare anche temi sociali di ampio respiro. Punto forte del gruppo appare in maniera lapalissiana, la poliedrica voce di Mautone, che entra a suon di spallate all’interno dell’Olimpo sonoro delle voci italiane tra John de Leo e Manuel Agnelli, proprio grazie alla sua invidiabile capacità di raccontare le note, attraverso viaggi vocali davvero notevoli.
L’album si apre con il white noise di Desmael, brano scelto come singolo e sviluppato dalla regia filmica di Laura Gallese per il mercato dei videoclip. La traccia è costruita su di una struttura classica (strofa-ritornello –guitar solo), ma, nonostante l’approccio banalizzato, appare accattivante e piacevole sin dal primo ascolto. La linea vocale, riconoscibile e calda, si accosta al riff di chitarra che ritmicamente detta le strofe, sino ad innalzarsi in maniera potenziale verso il chorus. L’intrinseca dolcezza della lirica si ritrova nuovamente nell’episodio successivo Comemaledire , composizione pensosa e raffinata, immessa da una delicata batteria a cui si unisce il dolce suono della chitarra, tra archi e disturbi rumoristici ma tuttavia armonici. Una canzone di attesa preparatoria; infatti, le ondulazioni toniche, sembrano anticipare un incremento della potenza vocale, quasi in maniera propedeutica all’inevitabile implosione che trova rigugio finale in una tromba melanconica, meglio assaporabile nella versione (non necessaria) estesa della lirica, attraverso il suo appendice strumentale che poco aggiunge al disco.
Sin dalle prime stesure, sembra inevitabile un parallelismo stilistico con Marco Cocci dei Malfunk, che similmente al frontman dei Blugrana, offre una vocalità particolare e potenziata. Ne sono dimostrazioni lampanti tracce come L’apparenza e Babel. Quest’ultima, con il suo granuloso e nirvaniano sound, riesce a gestire gustosi interludi che sfumano in un territorio inaspettatamente post rock.
Se poi meno convincente appare l’episodio Quello che manca, di ottima fattura risulta essere invece l’efficacia sonora di Un sogno che ottiene, similmente a La verità della carne, una mescolanza di sentori seventeen, stoner rock alternativo ed electro noise, grazie anche ad un sapiente e caldo uso del basso.
Un disco che riesce a contenere a mala pena tutta l’energia che sprigiona, senza dimenticare una soffusa attenzione a momenti ballad, che non sembrano tanto essere funzionali ad una forzata commercializzazione del disco, ma piuttosto appaiono indirizzati a donare ancor maggior risalto allo stile inconfondibile della band.
Tracce
01. Desmael
02. Comemaledire
03. Babel
04. L’apparenza
05. Se mi vuoi
06. Quello che manca
07. Un sogno
08. La guarigione
09. La verità della carne
10. Origami
11. Comemaledire (extended version)