Black Space Riders “Amoretum vol 1”, recensione
“Heavy, psychedelic, hypnotic, metalic, acid, groovy SPACE-ROCK from far beyond.”
Nati due lustri addietro i Black Space Riders arrivano a noi cavalcando un sound organico, introspettivo, furioso, ciclotimico e creativo. Un mondo surreale (o se preferite iper-reale) che si nasconde all’interno di un digipack lucido, in cui la cover art di Jacob Maser e le photo session di Hanno H.Endres trasudano arte ed estetica. Un’estetica curata, che pur perdendosi in un booklet ahimè minimal, offre all’ascoltatore il motivo evidente per il quale non dovrete perdervi nella versione fredda e inaccettabile del digitale, ma bensì avvicinarvi, senza remore, alla stampa in vinile o compact. E lo dico senza nessun dubbio perché questo primo volume di Amoretum possiede l’ardire di Keeper of the seven keys, pur non avendo stilisticamente nulla a che spartire con esso.
L’album licenziato da Cargo Records e Black Space Records regala sin dal primo ascolto un biglietto di sola andata per ipnotiche mangrovie, qui annodate ad un romanzo musicale suddiviso in capitoli narrativi, perfetti nel raccontare l’odio da un originale punto di vista. Una finestra contemplativa in grado di dare linfa vitale a quello che la band teutonica definisce New Wave of Heavy Psychedelic Spacerock.
Un distorsivo incipit mostra il sentiero da intraprendere per entrare nel mondo dei Black Space Riders: non solo confini stoner e cambi direttivi, ma anche striature post e inattese implementazioni in growling, che fungono da contraltare ad un’impostazione avvolgente ed impeccabile che ricorda il lato più vigoroso dei Foo Fighters, almeno nella parte iniziale del disco.
L’impronta sonora, porta l’ascoltatore tra le note di Another sort of homecoming attraverso le reiterazioni di Lovely lovely, mediante una narrazione, impreziosita da arrangiamenti privi di ombre, in cui, attraverso accordature ribassate, si viaggia verso diversificate ottave, mostrando così un esteso specchio di intelligibilità. La struttura espressiva della traccia, pur abbracciando un DNA easy, prosegue verso una linearità espressiva spezzata da influssi e insufflaggi emozionali che ci portano all’interno degli anni 80 con Soul Shelter, una nuova onda in cui la luce viene avvolta nell’oscurità vintage di una sezione ritmica emozionale (Bringing back the sunshine, remembering the light, a place attacked from outside, I keep this Place Inside Inside of me…). Un’inquietudine metaforica che desta la propria angoscia e la propria rabbia espressiva. L’album con i suoi “lunghi movimenti” volge verso toniche e wawa piuttosto calmierati per poi maturare verso una preparatorio bridge oltre il quale le diluizioni vanno ad aumentare il battito cardiaco disegnato dalle pelli e dall’esplosione delle sei corde perfetta e fluida in Come and follow . Proprio all’interno del flow narrante l’ascoltatore riuscirà a percepire diversificati cromatismi vocali (Fire! Fire!), ideali per fasi sballottate con piacevolezza tra metodi espressivi diversi ma ben armonizzati ( Fellow peacemakers)
Insomma, un’opera quinta in cui elettronica e heavy, qui inteso in senso classico, sembrano lasciare maggior spazio ad un sapore vintage, dal quale uscire sospinti da atmosfere post e dilatazioni space.
Tracklist
1. Lovely lovelie
2. Another sort of homecoming
3. Soul shelter (inside of me)
4. Movements
5. Come and follow
6. Friends are falling
7. Fire! Fire! (Death of a giant)
8. Fellow peacemakers