Ben Weaver – The ax in the Oak

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Dato e considerato che anche l’occhio vuole la sua parte, non si può non dare inizio a questa recensione di “The ax in the oak” con l’accenno alla bellissima e curata cover art in digipack, che riesce, attraverso ai suoi semplici disegni, a raccontare un disco di ottimo impatto, delicato e attento ai minimi particolari. Il tratto stilistico riesce a narrare graficamente le sonorità delle 12 tracce di dell’ultimo interessante operato di Ben Waever, gestito dalla teutonica Glitter House Record per l’Europa e dalla Bloodshot Records per il mercato statunitense.

L’artista del Minnesota è riuscito a non perdere le felici intuizioni artistiche del passato, ma questa volta per riuscire a sviluppare un disco di qualità, ha deciso di isolarsi in un vecchio appartamento berlinese dal quale sono nate percezioni compositive, che ci trasportano in quel territorio alternative-indie-lofi di alta qualità.
Questo sesto album da studio è certamente figlio di un’esperienza realizzativa, capace di portare con se quelle country roots che determinano un empatia tra testo e sound, sviluppando piccole e curiose storie di semplice narrazione lirica. I testi non sono ancorati a tematiche particolari se non a tutto ciò che la vita può offrire sul piano della semplicità osservativa, condita attraverso partiture malinconiche e assorte.

L’album si apre nei migliori dei modi con uno dei brani più convincenti “White snow”, un groove d’impatto tra il cello di Julia Kent ed eletric-guitar appoggiate nel bridge ad una sezione ritmica di gentile impatto. La voce di Ben fa poi il resto, coadiuvata da atmosferiche back voice che fanno della traccia introduttiva una piccola perla da cui partire nel viaggio tra gli arbusti di rovere.

La spedizione riprendere tra le note soft rumoristiche di “Red Red Fox”, in cui ancora una volta elettronica e classicismo si fondo magicamente in un sognante mondo rurale, come accade in “Dead bird”, sapientemente rilassata e naturale come un film di Rohmer. Non manca poi la prima track strumentale di Weaver “Said in stones”, che con la sua profusione funge da introduzione a “Alligators + owis”, onirica e strampalata, capace di conseguire proseliti sin dal primo ascolto.

Il disco però sembra vivere una sorta di anti-climax, perdendo qualcosa sul finire, “Hey Ray” e “Out behind the house” non sembrano essere all’altezza delle altre composizioni, forse perché un disco realmente perfetto non può durare cinquanta minuti, ma dovrebbe avere semplici tempistiche da vinile.

Quindi, è vero che ritroviamo nel disco qualche inevitabile e fisiologico dubbio sulla perfezione, ma è altrimenti indubbio il suo complessivo fascino. La genesi di questa magica pozione parte certo dalla poliedricità del alt-folk singer, ma trova il pieno compimento grazie anche a sviluppi ed arrangiamenti azzeccati e alla compartecipazione della magnifica voce di Erica Froman e dall’oscuro basso di Steve Reidell, che raffinano maggiormente quelle singole composizioni da cui farsi cullare.

TRACKLIST

White Snow
Red Red Fox
Soldiers War
Anything With Words
Pretty Girl
Hawks and Crows
Dead Bird
Said in Stones
Alligators and Owls
Hey Ray
Out Behind the House
The History of Weather