Babau & i maledetti cretini
Era il 2004 quando più o meno scrivevo così: “… non siamo di fronte ai nuovi seguaci di Skiantos o Teste sciroppate, ma bensì al cospetto di un gruppo portabandiera del sound Alternative-Regressive. Il quartetto milanese si ispira al Babau, quadro a fumetti di Dino Buzzati […] I “maledetti cretini” invece sono gli adulti fastidiosamente razionali e crudeli, nel voler uccidere con rimorso l’oscuro Babau, che entra nei sogni dei bambini.”
Dopo esattamente due lustri mi ritrovo a parlare de Il Babau & i maledetti cretini e della loro nuova release Trilogia del mistero e del terrore, fonodramma primo che porta il titolo de La maschera della morte rossa, ispirata dall’omonimo racconto di Sir. Edgar Allan Poe. Non ci vuole certo un sagace investigatore per comprendere come i maledetti cretini di oggi non siano più quelli di Dio, Dio mio cosa abbiamo fatto. Damiano Casanova, Franz Casanova e Andrea Dicò, oggi dediti ad un’ispirata arte teatrale, propongono una rivisitazione della realizzazione nera datata 1842.
L’allegoria del principe Prospero e del malefico contagio viene ripresa dall’ensemble in forma di reading, corredato da un piccolo libretto con testo a fronte, impreziosito dalle illustrazioni di Siro Garrone abile visionario, in grado di restituire i cromatismi metaforici della trama intessuta dall’autore. Macchie dinamiche, giochi compositivi e chiaroscuri richiamano in maniera lineare le sette stanze allestite dal principe durante il ballo in maschera, qui raccontato non solo attraverso lo spoken word e le intuizioni armoniche , ma anche, e soprattutto, dalla costruzione artistica, fulcro essenziale di un opera ipertestuale.
Il disco, raccontato attraverso sei capitoli che preparano alla Dissoluzione finale, vive attraverso un gusto sonoro prettamente vintage, legato ad intuizioni prog,a sensazioni anni’70 e a strutturazioni di stampo teatrale, non troppo divergente dalle idee pubblicate in Tales of mystery and Imagination di The Alan Parsons Project . Strutturazioni attenuate su sfondi narrati, incisive tracce innestate sui passaggi strumentali nel continuato tentativo di ricostruire atmosfere cupe e nereggianti, adeguate alla forma stilistica originaria. Un sapore diluito di note nobili che a tratti rasentano sapori avantguarde.
L’opera, da vivere come corpo unico, si apre con l’aurea pastorale di Danza macabra, il cui andamento marziale del suono prog, va a maturarsi attraverso un climatico inserimento sonoro di chitarra, pelli e tastiere. La definizione seventies ci porta gradatamente ad un’implosione energica e ridondante, celata tra venature oscure ed un trasparente sensazione d’angoscia, che ci avvolge e ci conquista al contempo. Il ritrovato conflitto concettuale si ridefinisce poi attraverso una nuova veste, che polarizza le emozioni attraverso una serie di passaggi, per certi versi minimali, incastonati tra silenzi osservativi ed un avvincente continuum narrativo che in La pestilenza arriva ad accogliere la voce estremizzata della recitazione.
Le dilatazioni espressive ci introducono Il ballo mascherato, in cui i passaggi della chitarra sembrano essere rasserenanti, all’interno di un aria folkeggiante, la cui moderata esposizione anticipa la mistura tra tradizione e prog per poi tornare con Dodici i rintocchi ad una ridondanza inquieta e impercettibili sensazioni rumoristiche
Il concept volge verso la conclusione attraverso l’attesa de La morte Rossa e di Dissoluzione finale, strumentale atto di chiusura, in grado di stringere il cerchio, in cui il dominio della morte ormai è decisa, attraverso una libera espressione non troppo distante da imprò e rumorismo accordo, qui ridefinito attorno ad un tracciato piuttosto lineare ed ipnotico.