Aucan “Black Rainbow Remixes”, recensione
Fino a qualche anno addietro ho sempre avuto un occhio ipercritico nei confronti dei Remix…a dirla tutta ho sempre mal sopportato il mondo dei RMX, per molti anni considerati alla stregua di inutili deturpazioni del già creato, definibili e condensabili all’interno di limitanti sviluppi artistici. La concettualità di Radio Cut e ancor più Club Mix appariva ai miei occhi e alle mie orecchie come una rivisitazione di creazioni altrui, figli della povertà e della pigrizia creativa di questo periodo storico, in cui anche molti testi filmici si rifanno a storie preconfezionate e già esposte.
A dire il vero, un lato del mio ego oggettivo rimane ad oggi ancorato a quelle convinzioni che hanno caratterizzato il mio volontario ostracismo artistico nei confronti di un certo tipo di sonorità. Da qualche anno però, complice il mio lavoro, devo ricredermi (parzialmente) sulla concettualità sociale e commerciale che si nasconde dietro all’arte del Remissaggio sonoro, spesso utile per avvicinare le nuove leve dedite ad un beat danzante a sonorità passatiste.
Frequentemente comunque mi capita di scontrare la mia soggettività, progettata per groove ben diversi, con l’aspetto prettamente oggettivo, anche se questa volta, i due canali sembrano avvicinarsi grazie alla rivisitazione di Black Rainbow Remixes degli Aucan.
La band attiva dal 2005 rappresenta un felice compendio di math-electro noise dub, raccontato da un terzetto ben assestato attorno alle figure di Ferliga, D’Abbraccio e Dasseno, che a distanza di pochi mesi ha deciso, assieme ad Aucanize e La Tempesta International, di licenziare i loro suoni rivisti con l’ausilio di sonorità aggiuntive. Occhi nuovi per vecchie idee in un ciclone musicale in cui gli arrangiamenti decorativi non sempre convincono appieno, pur fornendo una buona dose di materiale danzante.
Proprio da qui riparte la continua necessità sperimentale della band che, dal loro mondo proto trip pop, si trascina verso un beat colorato di note che raggiunge il meglio con l’introduttiva Storm in featuring con Mc Dalek, brano che riesce a tramortire l’ascoltatore con un rivace hip hop appesantito da gustose sfumature che si fanno soul post con l’Ambassadeurs remix di Save yourself e nereggianti con Away, da cui trapela l’anima Asian Dub Fundation.
Se poi brani come Heartless e Blurred non convincono appieno, si vive una stordente evoluzione sonora con la perfetta Black Rainbow, su cui incombe la genialità di Mick Harris, che regala un biglietto di sola andata verso uno stretto tunnel sonoro, tanto claustrofobico quanto ipnotico.
Insomma un disco che offre un interessante viatico artistico oltre i confini dell’atteso e che connota un’esperienza sonora che, tra alti e bassi, ci porta in uno stato di trance ipnotica capace di navigare nelle onde dell’onirico spazio espositivo.
Tracklist
01. Storm Featuring mcDALEK
02. Away Featuring SPEXmc
03. Spl – Niveau Zero Remix
04. Save Yourself – Ambassadeurs Remix
05. Underwater Music Vip
06. Heartless – Broken Haze Remix
07. Embarque – Cecile Remix
08. Red Minoga – Robot Koch Remix
09. In A Land – Skyrider Remix
10. Black Rainbow – Scorn Remix
11. Blurred – Shigeto Remix