Asa Noir ” Fall of the idols”, recensione
Nati nel 2004 come pagani dalle tinte black, gli Asa-noir arrivano a noi con il loro atteso debutto. Il disco, licenziato dalla Wormholedeath, sembra voler definire nuove cromature alle intenzioni, rimodulando le partiture mediante un intreccio aggrovigliato di sensazioni. Le nereggianti attitudini d’esordio vengono diluite mediante sonorità legate ad un meltin pot sonoro, in grado di convogliare verso auree sinfoniche e sentori death, industrial, nu e folk-viking, mescolati all’interno di una cassa di risonanza arrugginita e teatrale. Le liriche curate, appoggiandosi a stilemi letterari, offrono una linea di lettura particolare, in grado di superare le ovvietà, arrivando a definirsi attorno ad una naturale sincrasi tra metal e dark.
Il disco sembra non voler fornire fulcri d’appoggio, manovrando sensazioni diversificate in grado di accogliere (o escludere) determinate frange di heavymetalkids, alle prese con un disco difficilmente inquadrabile, proprio come dimostrano gli intarsi melodici, il riffing nereggiante e le strutture narrative legate all’Edda, atte a fornire tematiche care al mondo nordico da cui provengono.
Ad aprire “la caduta degli dei” è la straordinarietà emotiva di Lokasenna, ispirata alla mitologia norrena. La traccia d’overture disegna con la sua orchestralità un epicità avvolgente, che esplode nelle orientaleggianti echi della titletrack. Il marcato timbro vocale di Henri Asikainen, pur non affondando nelle radici estreme del metal ci narra, in maniera pulita e graffita una storia visionaria e leggendaria, definita attorno alla stranita mescolanza di spezie progressive e punte sinfoniche, a cui si aggiungono sentori blandamente black, illuminati da un ragionato gothic taste. L’uso delle keyboard fornisce poi orpelli musicali in grado di aprire la seconda parte del tracciato, in cui alcune ridondanze ipnotiche si sposano con un andamento vocale che finisce per inasprirsi.
L’aurea sinfonica prosegue vivace su Hawthorns e Solitude in silence deliziosamente immersa in un buon drum set allineato ad una narrazione cadenzata ed espressiva, mentre l’andamento agogico, che raccoglie lenti momenti catchy, fornisce poi i limiti di un testo misurato tra poema e narrazione.
Nonostante il punto fragile di alcune tracce sia l’eccessiva diluizione, la band riesce a formulare andamenti avvolgenti, proprio come dimostra l’ottima impronta lasciata da Naglfahr Lounge Music. Una presa groove in grado di fondere le keyboard con un easy listening, da cui emerge l’enclave strumentale che sembra da un alto anticipare la terminale Drowning, dall’altro lasciare il giusto spazio vitale agli incastri stilistici di Spirit of unrest, in cui voce fagocitata dalla sonorità, emana impercettibili sensazioni thrash.
I continui cambi di ritmo permettono ai suoni di convogliare verso una riuscita epicità visionaria, ulteriormente alimentata da ampliamenti corali, mentre le chitarre continuano nel giocare con sensazioni oniriche, definite attorno ai limiti di un disco senza confini, in grado di offrire intarsi speed ( Torn by Thorns) e mirate impostazioni sonore (Rise of the Lokean).