Antony and the Johnsons – The Cryng light, recensione.
“Antony e chi?”, ho chiesto una sera ad un amico che aveva appena citato questo gruppo…
Dopo aver appagato la mia curiosità (e ridotto la mia ignoranza…) ascoltando la produzione di “Antony and the Johnsons” posso affermare tranquillamente che ci troviamo di fronte ad un gruppo che, nell’attuale panorama musicale, rappresenta un qualcosa di originale ed inconfondibile.
La particolare voce di Antony Hegarty, inglese di nascita ma newyorkese di adozione, e gli arrangiamenti raffinati di archi e pianoforte, da lui ben suonato, con il sostegno mai invadente di basso e batteria e gli innesti di altri strumenti, in particolare di flauto, chitarra e clarinetto, rendono questo gruppo decisamente unico nel suo genere.
Non si può restare indifferenti ascoltando la voce di Antony: la si può amare od odiare, ma non restarne indifferenti. Questo vale anche ascoltando il loro ultimo lavoro, che si apre con il dolcissimo lamento di “Her eyes are underneath the ground”, in cui la voce, dal timbro così inusuale e particolare, comincia a disegnare emozioni e scivola a tratti nell’uso del caratteristico vibrato.
La voce di Antony continua a caratterizzare la successiva “Epilepsly is dancing” e soprattutto “One dove”, in cui ci troviamo avvolti di pianoforte ed archi, con un basso che sostiene il brano e con delicati suoni di chitarra acustica, in un crescendo emotivo che pare non finire mai.
Antony dà sempre l’idea di cantare la sua anima, ogni brano diventa il “suo brano”, riesce sempre ad essere evocativo ed introspettivo e si ha la certezza che tutto suonerebbe diverso, troppo diverso, senza il particolare timbro della sua voce. Questo personaggio ambiguo, che appare goffo e grassoccio, e per questo così al di fuori degli schemi dello star system, che si presenta sul palco con un gruppo che ricorda un’orchestra da camera e che propone visioni ispirandosi al pop, alla musica classica, all’opera lirica, alla musica nera, al folk… questo personaggio, dicevo, lascia il segno, non ci sono dubbi al riguardo.
La tensione emotiva si stempera un po’ in “Kiss my name”, raffinato pop che rompe l’atmosfera struggente creata dai primi tre brani, ma questa viene immediatamente ricreata nelle successive “The crying light”, brano costruito ancora più degli altri attorno alla voce di Antony ed “Another world”, che ci porta ad un significato di pace che va oltre la vita terrena.
I brani successivi continuano ad essere guidati dalla voce e dal pianoforte di Antony, sostenuti dagli archi, il tutto in un contesto sempre evocativo e raffinato, fino alla degna chiusura dell’album, con la stupenda “Everglade”, che ci conduce in un mondo sognante ed immaginario.
A parte il brano “Aeon”, che ha venature gospel e riprende le atmosfere del loro precedente e splendido lavoro (“I’m a bird now”, del 2005), in cui si respiravano una maggior tensione emotiva ed un maggior tormento, tutti i brani dell’album ci danno l’idea di un lavoro più sereno e rilassato rispetto al precedente.
Forse manca il brano che si stacca nettamente dagli altri, ma questo lavoro è così maturo, delicato e mai stucchevole, intriso di testi introspettivi e raffinate suggestioni che trasmettono serenità, che probabilmente rappresenta una sorta di equilibrio perfetto.
Dal punto di vista della qualità sonora il CD è ben inciso, anche se i puristi dell’alta fedeltà avrebbero probabilmente desiderato una scena sonora più ampia, ed è caldamente consigliato a coloro che desiderano immergersi in un’atmosfera rilassata e che non temono di dover procedere ad ascolti ripetuti per apprezzare pienamente questo lavoro.
Grazie agli arrangiamenti curati, intrisi di violoncello e pianoforte, piacerà sicuramente anche agli appassionati di musica classica che non disdegnano in generale le proposte pop, rock e jazz di qualità.
Se vi piace questo “The Crying light” comprate anche il precedente “I’m a bird now”, mi raccomando…