Antony and the Johnsons – I’m a bird now, recensione.
In copertina una foto morbida di Candy Darling, una delle star travestite di Wahrol, fissata sul letto di morte da Peter Hujar, tra gli amici buona parte della crema dell’intellighentsja newyorkese en travesti e non solo, tra i crediti la partecipazione al film di Buscemi “Animal Factory” (dove canta una ballata in una cella), un tour con Lou Reed (praticamente il suo scopritore e presenza nel disco) nonché la partecipazione al disco “The Raven and Animal serenade”, gli osanna della critica e i sold out nei concerti, italiani compresi.
Antony è sicuramente in questo primo scorcio di anno il fenomeno definitivamente esploso. Un primo album inciso per la Durtro di David Tibet (Current 93 e rumori vari con le ossa tibetane…) e partecipazioni live al Jazz festival and The Warhol Museum (dove viene notato da Lou Reed), al benefit per il Tibet di Philip Glass, al Meltdown festival di Patti Smith per arrivare a questo concept di 10 brani raffinati, a combustione lenta ma di enorme forza evocativa.
Dieci storie d’amore, di desiderio e di perdita, dieci storie di donne e di metamorfosi sessuali vissute in prima persona, malinconiche e crepuscolari come nel primo album del progetto This Mortal Coil o nei dischi dei Buckley (padre e figlio) ma con una forte impronta espressiva vicina al soul, alle ballate blues e ancor più alla tradizione gospel e forse non a caso gli esordi di Antony sono da corista in una chiesa.
La traccia d’apertura (“Hope There’s Someone”) lascia di stucco, con un piano che va per dissonanze armoniche e una voce degna di Nina Simone meets Edith Piaf: non si può rifiutare un invito simile. E infatti il resto è una festa per le orecchie, magari un po’ particolare (“One day I’ll grow up/And be a beautiful woman, but for today I am a child, for today I am a boy” canta appunto in “For today I am a boy”), per la tensione e la grazia dei singoli brani, per l’esecuzione vocale vibrante e rarefatta, per le collaborazioni di lusso (oltre a Lou Reed, Devendra Banhart, Julia Yasuda, Rufus Wainwright che canta in “What can I do?”, Boy George che oltre ad aver partecipato attivamente a tutto l’album canta nella “reddinghiana” “Fistfull of love”), per gli spiriti di Otis Redding e Billie Holiday che aleggiano benevoli intorno, per i toni unici da tenori castrati che vengono raggiunti.
A dispetto del pallore cadaverico da biacca di Antony, “I am a bird now” è un disco di musica nera nell’esecuzione ed europeo nella cifra stilistica e culturale. Novello Farinelli, Antony e i suoi Johnsons (Julia Kent, Todd Cohen, Jeff Langston, Joan Wasser, Maxim Mostan, Rob Moose) e tutta la superba corte di “shemales” ha realizzato un lavoro che lascerà il segno, probabilmente più destinato a un culto che alla popolarità, specie in questi tempi caciaroni di suonerie polifoniche a volumi insopportabili e di Vj clonati urlanti e nulla dicenti.