Angerman “No tears for the devil”, recensione
Alzate il volume!
La Worm Hole Death ha da poche settimane dato alla luce un debut in grado di coinvolgere e travolgere.
Si chiamano Angerman e giungono dalla Norvegia sotto l’ala protettrice di un riuscito grunge metal in grado di convogliare la forza espressiva dei Black Label Society con l’aura innovatrice del grunge di inizio anni’90.
L’album offre 11 frecce al curaro, avvolte tra le ali dei mefistofelici Gargoyle che dominano la magnifica opera grafica di Martin Kvamme, bravo a gestire spazi e cromatismi, atti a rendere efficace anche l’impostazione del booklet, elegante invito ad un attentivo viaggio tra le righe delle piacevoli partiture, pensate tra innovazione ed arie classicheggianti.
A dar battesimo al full lenght è la perfezione emozionale di Love me, Hate me, probabilmente tra le tracce più riuscite di questo ottimo No tears for the devil. Un magnifico impatto che ridefinisce le pelli verso un suono dalle intuizioni stoner, pronte ad innalzarsi verso un corposo heavy. Una curiosa alternanza di armonia e distorsione, in cui non mancano guitar solo e disposizioni narrative, deliziosamente funzionali all’inevitabile headbanging. Un suono convincente che si avvicina al mondo di Zack Wylde attraverso un songwriting minimale, pronto a schiudersi verso una narrazione più chiara mediante i tracciati di LIke a journey e Newborn, in cui si palesa un chiaro sapore post grunge. Le spezie Soundgarden paiono indurite da passaggi Furens, arrivando a dare il giusto pattern alla caratteristica timbrica di Michael Ravndal, abile nel districarsi tra le trame avvolgenti.
Se poi con Ritual si giunge ad un curioso rimando a Voalbeat e Scott Weiland, con Hour of innocence si accede ad uno spazio pulito, pronto ad essere fagocitato da riff intersecati dal calmierante andamento, su cui il quintetto vira prima di tornare alle colline scoscese di Killing me e Dark Rising, straordinaria interpretazione di tecnicismo e narratività.
A chiudere l’album sono infine le sensazioni libere di Left Behind e la granuloso Devil Drive, in cui il moto stoner (ri)emerge avvolgendosi a sentori nu-metal prima e grunge poi: una delizia per le orecchie anche meno abituate a lidi lontani dall’easy listening.
Un disco vivo e fluido che travolge in maniera immediata anche grazie alla strutturazione vocale dei tracciati, che trovano naturale complementarietà nel packaging offerto e nella riuscita arte della produzione.