All you need is now – Duran Duran. Recensione
Quando nel 1984 acquistai l’album “Arena”, in Italia era appena scoppiata la febbre da MTV.
La musica, fino a quel momento, aveva avuto una dimensione essenzialmente radiofonica, ed in TV si erano consolidate solo poche trasmissioni che ospitavano i pochi eletti da hit parade.
Fra i paladini che riuscirono a sfruttare al meglio quella svolta epocale, la band certamente più lesta fu proprio quella dei Duran Duran, basando il proprio successo non solo sulla propria produzione musicale, ma anche (i loro detrattori diranno: “soprattutto”) sull’effetto immagine. Fu un biennio paragonabile, per esplosione mediatica, addirittura all’epoca dei Fab 4.
Fino al 1986, con l’album Notorius, la cosa continuò più o meno a funzionare, anche se ormai orfani del batterista Roger Taylor e del chitarrista Andy Taylor (che collaborò da esterno, suonando solo in pochi pezzi), ma era ormai chiaro che il giocattolo stava cominciando a rompersi.
Fino ai giorni d’oggi, i nostri eroi hanno tuttavia continuato a pubblicare con altalenante regolarità (e qualità), diversi album, organizzando nel 2004 (con “Astronaut”, cd di ottimo livello) addirittura una ormai insperata reunion della line up originale. Il nuovo idillio, purtroppo, durò appena il battito di ciglia necessario per far rimpinguare le casse del già citato rockettaro Andy.
Tornati in 4 (Le Bon, Rhodes e gli altri due Taylor, Roger e John) i Durans si sono inizialmente affidati (nel 2007) alla “casa di produzione” più in voga del momento (Timbalad/Timberlake), ma visti gli scarsi risultati dello sperimentale “Red Carpet Massacre”, hanno poi deciso che l’unico in grado di salvarli dall’estinzione poteva essere solo Marc Ronsom. Il produttore di quel pluripremiato capolavoro di musica vintage ‘70 che è “Back in black” (di Ami Winehouse) ha subito dichiarato il suo obiettivo: “riportare la band ai fasti dell’inizio!”, possibilmente portando a casa, con qualche lustro di ritardo, un virtuale seguito dell’album più bello della loro carriera: “Rio”.
Abbiamo ascoltato le 9 tracce acquistabili sul web (l’edizione “fisica” su cd uscirà solo a marzo e avrà 12 tracce) e senza troppi giri di parole rompiamo ogni indugio affermando serenamente che i Duran Duran e il loro nuovo condottiero hanno fatto centro al 100%.
Già il primo singolo estratto, “All you need is now”, pur presentando un approccio iniziale non così immediato, esplode poco dopo in un refrain appiccicoso come carta moschicida, nel senso che non si toglie dalla testa e continua ad echeggiare per ore anche a volerlo “staccar via” con la forza.
Di solito, con gli ultimi dischi, a questo punto non c’era molto più da ascoltare ed al massimo si scovava qui o là un’altra potenziale hit. Ma qui le cose cambiano radicalmente, ed il meglio deve ancora venire.
La sequenza che comprende “Blame the Machines” (pop elettronico in pieno stile anni 80), “Being followed” (bella la chitarra, finalmente in evidenza, il cui motivo ricorda quello di “A forest” dei Cure) e “Leave the light on” (ballata veramente incantevole, e senza dubbio ai livelli di Ordinary day”, tanto per capirci) rappresenta un trittico micidiale che lascia sbalorditi per freschezza di melodie (che voce ha ancora questo Simon Le Bon!) e suoni stratificati (Nick “mano lesta” non delude coi suoi tasti magici).
Anche le collaborazioni con Ana Matronic degli Scissor Sisters in “Safe”, che sembra rubata da un album postumo degli Chic, e con Kelis in “The man who stole a leopard” (piacevole il richiamo iniziale, in chiave moderna, a “The Chaffeur”) non solo non stonano, ma ci sembrano calzanti come un guanto.
“Runaway Runaway” merita un discorso a parte perché ci sembra proprio la canzone perfetta. Breve, frenetica, con una base rock a tratti così travolgente che sembra di essere tornati a trent’anni fa, quando si poteva rimanere estasiati sulle note di “My own way”.
Di “Girl Panic” mi limito a dire che in uno qualsiasi dei loro ultimi cd sarebbe stato pubblicato come singolo, ma qui finirà come quei giocatori fortissimi costretti a stare in panchina solo perché “chiusi” da campioni del mondo.
Concludiamo con la speranza che i 4/5 pezzi mancanti, che saranno pubblicati più tardi nella versione cd, siano all’altezza di quanto sopra descritto. Se fosse così saremmo probabilmente di fronte alla collezione di canzoni più bella mai prodotta dai Duran Duran e, lasciatecelo dire, la cosa ci fa godere non poco.
In difetto, in ogni caso, almeno il pareggio con “Rio” è già assicurato!