Alicia Keys – The element of freedom
La parola “Libertà”, che spicca nel titolo del nuovo album di Alicia, ci sembra quella che meglio rappresenti lo “stato dell’arte” della sua carriera a tutt’oggi. Chi segue l’artista dagli esordi, infatti, non avrà potuto fare a meno di notare, disco dopo disco, una piacevole tendenza al cambiamento, sia nella composizione che negli arrangiamenti dei suoi pezzi, che denotano la sua propensione a non sentirsi vincolata da ciò che i sui fan si aspettano e a non dormire sugli allori.
Chi volesse confrontare, ad esempio, “The Element of Freedom” col suo primo eccellente lavoro (Song in A Minor) si renderà conto che pur rimanendo se stessa, quindi legata alla musica soul, in questo decennio la Keys ha progressivamente abbandonato l’idea del piano classico come strumento base per le proprie canzoni ed ha introdotto dosi sempre più sostanziose di elettronica, facendolo spesso con classe cristallina. Ha saputo inoltre, con apprezzabile astuzia, scegliere lungo il cammino i vari partner (come John Mayer nel precedente album “As I Am”, o Beyoncè e Jay-Z in quest’ultimo) pescando nel panorama artistico americano sulla base del valido principio: “che siano di talento, ma anche mainstream”.
Venendo alle nuove canzoni più interessanti, segnaliamo innanzitutto “Doesn’t mean anything”, una mid-tempo dal ritmo incalzante che, pur mantenendo una certa monotonia di base, risulta veramente piacevole da ascoltare e riascoltare. Nel testo si parla di una condivisibile presa di coscienza che l’amore vero in realtà è insostituibile e che quando (ahi noi!!!) veniamo lasciati, nulla, neanche tutto l’oro del mondo, ci può rendere felici. Bellissima poi “Try sleeping with a broken heart”, sul cui refrain andrebbe messo un cartello ben visibile con su scritto: “Attenzione … può creare dipendenza!”.
Echi del passato suonano perfetti sia in “That’s how strong my love is”, nel cui bridge (in particolare) ci sembra di risentire splendide melodie e vocalizzi del giovane Stevie Wonder di “Songs in the keys of life”, sia in “This bed”, il cui pop accattivante appare uscito, piuttosto, dal Prince ispirato di “1999”.o “Lovesexy”.
C’è spazio poi per l’R n’ B più moderno e “spinto” con “Put in a love song” dove, diciamolo pure, a farla da padrona è la già citata ospite Beyoncè (risentitetevi “Single Ladies” e vedrete che il pezzo potrebbe figurare come singolo postumo dal suo “I am… Sasha Fierce”), ma che forse – nell’economia generale del disco – potrebbe risultare paradossalmente superflua.
Sottolineiamo anche la grinta di “Wait til you see my smile” dove si consiglia con forza di affidarsi a Dio nelle grandi difficoltà della vita e di essere sempre se stessi ad ogni costo proponendo, parallelamente, una strenua lotta alle critiche ingiuste al nostro modo di essere o di fare. La frase finale andrebbe a meraviglia per chiunque fosse in procinto di fare la gara o il colloquio più importanti della propria vita (“cause you’re stronger and you’re better / and you’re ready for whatever”).
“Distance and time” (dedicata agli amanti lontani) e “How it feel sto fly” rappresentano il dulcis in fundo (due ballatone soul veramente niente male) prima del singolo finale, dedicato alla città di New York (intitolato, con un bel gioco di parole, “The Empire State of Mind”) che con la sua suadente melodia notturna difficilmente passerà inosservata agli ascoltatori radiofonici più esigenti. Chi si fosse, tuttavia, innamorato della versione super “rappata” del video con Jay-Z resterà deluso perché di lui qui non troverà neanche un sospiro.
Tirando le somme, possiamo sinceramente consigliare l’ascolto ed eventualmente l’acquisto di questa ultima prova di Alicia (non ci sono praticamente canzoni da scartare del tutto), con la ragionevole sicurezza che i suoi ammiratori non solo non ci chiederanno indietro il relativo esborso, ma piuttosto ci ringrazieranno per una buona dritta.