Ali Farka Toure & Toumani Diabate – In the Hearth of the Moon

copertina

Ali Farka Toure e Toumani Diabate sono due autentici giganti della musica maliana, la cui meritata notorietà si è diffusa ben oltre la cerchia degli appassionati di musica africana. Per questo il loro primo lavoro assieme era molto atteso, e non poteva essere altrimenti. Oltre ad essere il frutto di una collaborazione assolutamente inaspettata, questo album sancisce anche l’approdo di Toumani Diabate alla World Circuit, la raffinatissima etichetta inglese di Nick Gold i cui standard di qualità sono difficilmente eguagliabili. Un’ingresso significativo, che vedrà in autunno la pubblicazione dopo 10 anni del nuovo lavoro dello stesso Toumani con la sua ensemble tradizionale, la Symmetrix Orchestra.

Cerchiamo di capire più a fondo questa inconsueta unione artistica. Prima di tutto, nonostante la provenienza dei due musicisti dallo stesso paese, le loro radici culturali sono differenti, così come diversa è la loro musica. Ali Farka Toure appartiene all’etnia Songhai, un popolo fortemente islamizzato che vive tra le sabbie del deserto nel nord del Mali, in quella regione a ridosso del Sahara di cui Timbuctu costituisce il centro. Nonostante i Songhai portino cognomi mandengue, la loro è una cultura ibridata con quella dei tamashek (touareg) e degli arabi, un’influenza riscontrabile nella lingua, nei costumi e negli stili di vita. Toumani Diabate è invece un djeli mandengue, un vero e proprio tesoro nazionale, discendente degli antichi detentori della musica e della cultura orale. I mandengue vivono nelle savane del sud, e hanno forti legami con i paesi della costa: Senegal, Gambia, Guinea, Sierra Leone, Costa d’Avorio.

Ali Farka, conosciuto come il John Lee Hooker africano, suona una sorta di ruvido progenitore ancestrale del blues. Accompagnato da strumenti fatti con gusci di zucche e pelli di animali, Ali canta con voce potente le canzoni tradizionali del deserto, mentre la sua chitarra elettrica costruisce accompagnamenti e assoli fortemente ipnotici centrati su accentuate strutture ripetitive, comuni anche nello stile improvvisativo dei grandi chitarristi blues afro-americani. Ma non ditegli che suona blues, o si arrabbierà. Per lui il blues è rami e foglie di una pianta le cui radici sono in Africa, nella musica che egli stesso suona oggi. Toumani, invece, suona autentica musica classica maliana. Essa costituisce l’essenza dell’improvvisazione strumentale, appoggiata su melodie, su scale e su strutture ritmiche antiche di molti secoli. E’ una musica che nasce dalla tradizione ma che al tempo stesso si proietta in avanti, con incredibile autorevolezza.

Ali Farka è un difensore estremo della musica tradizionale, mentre Toumani, pur incarnando la tradizione, ne rappresenta l’avanguardia. Infatti, oltre ad aver completamente rinnovato lo stile della musica per kora, di cui il padre Sidiki era uno dei massimi interpreti, ha dato vita ad innumerevoli progetti di ibridazione: a cominciare dalla collaborazione con il gruppo di flamenco Ketama (Songhai e Songhai 2), continuando con il lavoro assieme al bluesman americano Taj Mahal (Kulanjan), fino all’ultimo suo disco con il trombonista jazz Ruswell Rudd (Malicool).

Nonostante le differenze tra i due artisti e la loro incredibile personalità, “In the Heart of the Moon” è stato registrato quasi senza provare, in tre sessioni di un paio d’ore ciascuna svoltesi in un albergo sulle rive del fiume Niger, a Bamako.

Il disco è indubbiamente bello, e non poteva essere altrimenti. La registrazione è molto naturale e la confezione è curatissima, con splendide fotografie e note esaustive, oltre a dei brevi scritti, molto toccanti, sia di Ali che di Toumani. I brani sono quasi tutti tradizionali mandengue riarrangiati, tranne un pezzo di Toumani e un paio di pezzi di Ali. Non lasciatevi influenzare dalla lista dei musicisti che compaiono nelle note di copertina. E’ vero, c’è scritto Ry e Joachim Cooder, e anche Orlando “Cachaito” Lopez del gruppo di Buena Vista Social Club, ma non vi accorgerete affatto di loro. Non vi accorgerete di nessuno, se non di Ali e Toumani. Con pochissime e brevi parentesi, questo disco è un vero e proprio duetto acustico e rigorosamente strumentale per chitarra e kora.

Il disco è bello, l’ho già scritto, e non posso che consigliarne l’acquisto e l’ascolto. Nonostante ciò, confesso sottovoce che in qualche modo mi ha deluso. Da una simile collaborazione poteva venir fuori qualcosa di unico, che conservasse la grinta e l’energia primordiale della chitarra elettrica e della voce di Ali, con l’aggiunta della raffinatezza e dell’eclettico virtuosismo di cui è capace Toumani con la sua kora. L’uno poteva esaltare l’altro, e invece sembrano essersi neutralizzati a vicenda, dando luogo a un sound che non brilla per incisività, né riesce a tessere le fitte trame di note tipiche delle ensemble di cordofoni del Sahel. Lo so, sono le mie impressioni personali, impressioni alle quali non voglio aggiungere molto altro, anche perché sto scrivendo con un fondo di tristezza. Amo e ammiro profondamente entrambi gli artisti, e sono convinto che nei loro lavori solisti di prossima uscita per la World Circuit torneranno a stupire come hanno sempre fatto.

Mentre aspettiamo con impazienza i loro nuovi album la cui uscita è imminente, nulla può impedirmi di pensare che il meglio della loro arte ispirata e della loro straordinaria capacità evocativa sia ancora da cercare in dischi come Talking Timbuctu e Niafunke per Ali Farka Toure, o in Kaira, Djelika e New Ancient String per Toumani Diabate.