Alex britti – .23 recensione
La bellezza della chitarra è data non solo da chi la sa suonare bene, ma anche da chi fa, della sua arte, un punto di base per poi toccare quelle note che sanno toccare nell’intimo e che mettono in evidenza, anche con poco, l’estrema bravura di chi vuole portare il concetto di fusione tra musica leggera e tecnica nella leggerezza della canzone.
Nel nostro paese non esiste quasi più nessuno che si occupi di tramandare canzoni con un alto livello artistico sia a livello di testo sia musicale, poiché si andrebbe solo incontro al proprio fallimento anche se, in questi casi, è il pubblico a fallire e ad uccidere l’arte perché non si rendono conto della “robaccia” tutta uguale che viene loro proposta attraverso un mezzo di comunicazione rettangolare: la televisione. Si è perso il gusto d sentire le canzoni alle cuffie, nell’intimità, per cercare di vedere quali siano le parti migliori di un brano e del perché sia così speciale. Un Franco Battiato, oggi, non verrebbe considerato come dovrebbe. Al giorno d’oggi, infatti, molti artisti vengono considerati in tutt’altro modo rispetto a come, invece, bisognerebbe considerarli. Alex Britti è sempre stato un cantante che faceva canzoni leggere, senza pretese, ma che diventavano dei tormentoni incredibili. Dietro di questo non poteva esserci soltanto la stupidità o un testo prescritto, ma qualcos’altro: esisteva un’altra formula magica.
Andando avanti col tempo, Alex fece altri dischi e mostrò sempre più quella peculiarità che lo contraddistingueva e che veniva rappresentata dalla sua più cara amica: la chitarra. Il primo lavoro si chiamava “It. Pop” ed era un album tranquillo con riferimenti a storie divertenti e spensierate che, però, sprofondavano anche nell’intimità (“Oggi Sono Io”) e nella profondità dell’essere (“Gelido”). Arrivò poi “La Vasca”: tormentoni accompagnati da parti delicate (“Una Su Un Milione”) fino al talkin blues (“Milano”). Già qui qualcosa non torna poiché proporre un brano così difficile ad un pubblico medio non era facile. Con “3” si torna un po’ alle origini, ma con “Festa” capiamo che Alex si sta prendendo le distanze dalla musica leggera cercando un suo stile più personale, il quale culmina in un album che, sicuramente, lo rappresenta al meglio: “Alex Britti Unplugged”, il secondo d’Italia. Ma, se si guarda con molta attenzione alla carriera di Alex ci si potrà accorgere di una cosa: il suo stile esisteva già, ovvero la componente jazzistica (massimo esempio nel brano “Jazz” del primo cd).
Giungiamo al 2009 e Britti si presenta in una veste nuova e più intima che riassume anche il fatto di essere più libero nella composizione dei suoi pezzi su uno stampo quasi più artistico e prettamente jazz velato di un intimismo che investe tutto il lavoro: questo piccolo diario si chiama “.23”. Una data importante per Alex (compleanno in Agosto) che si configura anche come un brano dal ritmo molto strano (pizzicato dalla chitarra) e che riassume, in qualche senso, anche dei cenni della cabala e i principi base dell’identità di Alex come persona e musicista incredibile. Il progetto, invece, viene aperto da un brano interamente velato dall’intimismo di un Agosto che si configura come un ricordo che genera malinconia: “Piove” (collegamento con “Milano”, visto che anche il cd è stato registrato in quegli studi e per il collegamento con il mare) il quale è composto da accordi intervallati che accompagnano la canzone insieme a degli archi. Segue un brano semi-acustico che trae spunto dal passato di Britti e che è stato scelto come secondo singolo: “Buona Fortuna“; in un senso puramente di mercato, forse, non è stata una grande mossa (è presente anche la versione Unplugged come traccia nascosta). Le prime due tracce c’immettono, in maniera diretta, nello spirito di Alex che, da qui in poi, comincerà a far vedere dei pezzi di vera musica creata dalle magie della sua chitarra classica. La vera forza di questo disco, comunque, sembra risiedere anche nelle collaborazioni: Darryl Jones al basso (Eric Clapton, Miles Davis, ecc.), Paco Sery alla batteria (molto amato da Jaco Pastorius), Bob Franceschini al sassofono (Mike Stern), Cecilia Chailly all’arpa (De André, Ludovico Einaudi, ecc.) e Davide Rossi come arrangiatore e violino (il quale ha collaborato con Brian Eno). L’intervento di queste anime, unite a quella di Alex, hanno permesso di creare un viaggio indimenticabile verso un disco completamente diverso dai precedenti che apre la sue “porte” con il brano “L’Attimo Per Sempre”: canzone molto filosofica aiutata dagli strumenti a fiato e dal sintetizzatore; tutto questo ci porta verso l’estrema tecnica di un ritmo sincopato con chitarra distorta tradotto in “Esci Piano” che è possibile ricollegare a “Lasciatemi Sognare” (intro di batteria molto strano) e “Meno Di Zero” (col tempo retto dalla batteria col solo uso della grancassa). L’intimità nel suo aspetto migliore nasce, invece, da un’ampia fusione tra jazz e testi molto malinconici: è l’esempio di “Vieni Qui” e “Così Come Sei”. Una sola canzone si distacca dalle altre per il suo essere particolare sia per la collocazione in un disco così elaborato, sia per la poetica di Alex che celebra la sua capitale d’Italia con “Venite Tutti A Roma”, un brano difficile sia a livello canoro, ma che segue, passo per passo, la storia di Roma.
In aggiunta, nella versione Deluxe, sarà possibile trovare tre brani inediti: “Estate”(un brano sospirato che si ricollega, senza ombra di dubbio, a “Piove”), “Quando Il Cielo Piange” (pezzo blues) e “T. Blues”.
“.23” è un album emozionante e molto elaborato a livello tecnico. Mostra, una volte per tutte, di cosa è capace Alex Britti con la sua chitarra e la sua ispirazione.