Afterhours “Padania”, recensione
In questi ultimi anni il mio personale attaccamento per gli Afterhours si è dovuto scontrare con eventi che hanno mutato ai miei occhi l’amore incondizionato che provavo in quanto fan, e non certo in quanto articolista. Infatti, ultimamente ho vissuto una metamorfosi che, tra alti e bassi, ha creato in me un’alternanza critica nei confronti di Manuel Agnelli e soci. Così, dopo quello che per me rimane un album non all’altezza (I milanesi uccidono il sabato ), ho capito che ero pronto a superare l’aspetto prettamente soggettivo, avvicinandomi ad un valore emotivo maggiormente ponderato, in grado (presumo) di vedere, senza essere trainato dalla convinzione di essere di fronte ad una delle migliori band italiane degli ultimi vent’anni.
Perciò, per la prima volta ho deciso di avvicinarmi ad un disco degli After indossando le vesti di giornalista musicale, nel tentativo di raccontare in maniera (semi)distaccata la nuova Padania, decimo full lenght della band milanese.
Il disco arriva a quattro anni dal precedente e segna nel post Il paese non è reale il felice rientro di Xabier Iriondo che, immerso nei suoi infiniti side project, si ritrova ai confini di un cancello aperto su quel futuro immortalato in cover art, come a volersi affacciarsi all’avvenire della band che, come ben sappiamo, non sarà certo uccisa da tempo.
Il disco si offre ai fan di nuova e vecchia generazione attraverso ben 15 tracce, da cui trapela un sapore retrò, capace di fondere le tre decadi musicali 70-80-90, all’interno di un unico contenitore, caratterizzato da occhi preoccupati. L’intera opera, costituita da un compendio di divergenti idee, concede un insieme disomogeneo che si presta ad uno sguardo attento, pronto a definire al meglio l’incontro tra qualità compositiva ed emozionale.
Padania trova la sua apertura nei diluiti archi, capaci di proiettarci all’interno di quella dolce e poetica nebbia, intagliata dalla recitativa voce di Agnelli, incastonata tra le note attraverso un viaggio vocale sopra le rette linee, sfiorando docili cenni di rumorismo post in perfetta armonia con un rabbioso testo, impreziosito da basso distorto e chitarra disgregata dall’ermetico intento narrativo. Il brano d’overture è di certo un ingresso ad un mondo difficile, raccontato senza troppi fronzoli, attraverso lo sguardo posto su movimenti tipici di Demetrios Stratos e Diamanda Galas.
Con Terra di nessuno invece si approda senza mezzi termini ad un sapore antico, che sembra uscire da Non è per sempre, con il suo riff graffiato che si inasprisce con La tempesta in arrivo, in cui le sensazioni Muse ci aprono alla stranita via di Costruire per distruggere. Proprio in quest’ultima sembrano incontrarsi le sonorità peculiari della band, intrecciate alle nuove frontiere soniche, tra disturbanti violini e voci in controcampo, da cui emerge più che mai il mondo di Iriondo, in un viaggio sociopolitico che si fa ironia attraverso i piccoli bonsai dei Messaggi promozionali, atti d’accusa a mondo mediatico e alla sua deformante non realtà.
Se poi con Spreca una vita, ci si ritrova tra blues e minimal rock, con Io chi sono la band ci racconta in maniera folle una serie di cambi direzionali e stop and go davvero incisivi. La traccia, molto più di altre, sembra voler definire i nuovi limiti compositivi del ensemble, che sorprende tra angoscianti ed ipnotici movimenti alle pelli, stilizzazioni free e cori disorientanti.
Di più facile impatto appaiono infine le ballate Nostro anche se ci fa male e la bellissima chiusura di La terra promessa si scioglie di colpo, dolce inganno compositivo, in cui il pianoforte Bösendorfer delinea un suono corposo e sbilanciato da un’onda alternative che trova fondamento nei primi anni 70 per poi voltarsi verso i due decenni seguenti, da cui nascono suoni compositi e delineati da sensazioni e-bows.
Insomma un disco che percuote con la sua assenza ponderata di compromessi e con la sua chiusura alla banalità, in una ricerca compositiva che presumibilmente risente (positivamente) del Jack on tour e dell’organizzazione tecnica che, con questa line up, raggiunge forse l’apice di un espressione artistica, che appare piacevole contrappasso delle esperienze televisive di quale anno addietro.
Tracklist
1. Metamorfosi
2. Terra di nessuno
3. La tempesta è in arrivo
4. Costruire per distruggere
5. Fosforo e blu
6. Padania
7. Ci sarà una bella luce
8. Messaggio promozionale n. 1
9. Spreca una vita
10. Nostro anche se ci fa male
11. Giù nei tuoi occhi
12. Messaggio promozionale n. 2
13. Io so chi sono
14. Iceberg
15. La terra promessa si scioglie di colpo