AAV Gilels – Recital live, recensione.
Molti pianisti della generazione di Emil Gilels, pur considerando primario il repertorio romantico e tardo-romantico, frequentarono con una certa costanza le Sonate di Domenico Scarlatti (o per meglio dire gli Essercizi per gravicembalo, secondo la definizione dell’autore), e anzi spesso li inserirono in apertura dei propri programmi concertistici: due o tre Sonate, prima di votarsi a Brahms ecc.
Già Benedetti Michelangeli aveva ampliato il numero di quei pezzi, questo bel cd della Ermitage testimonia come, in quel concerto nella chiesa di S.Francesco a Locarno nel 1984, il grande pianista russo arrivò persino a sette Sonate, circa mezz’ora di musica barocca con cui dare avvio alla performance.
Ora, chi abbia nelle orecchie le incisioni scarlattiane più moderne (sul pianoforte o sul clavicembalo) con molta probabilità proverà orrore e disgusto di fronte all’interpretazione di Gilels, inconfutabilmente “fuori stile” e palesemente “antifilologica”: se si ascoltano in particolare la Sonata in re minore K32 e quella in fa minore K466 si stenterà addirittura a riconoscere il compositore napoletano: Scarlatti, insomma, qui diventa Chopin, viene di molto trasformato per avvicinarsi forse alla precipua sensibilità dell’esecutore.
Se questo è indubbiamente vero, è vero però anche che, se non altro – e astraendo da considerazioni storico-estetiche – questo strano Scarlatti “romanticizzato” rimane pur sempre una magistrale lezione di pianoforte (e forse di musica in generale): dalla timbrica al fraseggio, dalla vivezza ritmica dei pezzi veloci alla profusione lirica di quelli lenti.
Maggiore consanguineità fra autore e interprete si raggiunge con la Suite di Debussy Pour le piano, qui a tratti realmente ipnotica, ed ancora maggiore consanguineità, naturalmente, con gli schumanniani Etudes Symphoniques op.13.
Di quel tema e variazioni Gilels restituisce in maniera icastica tutto un mondo di pulsioni interiori, di dolore, di meccanici conflitti, ma anche di forti contrasti, di “humoreske”, tra i due diversi poli di Eusebio e Florestano, mai tuttavia esasperando ciò che facilmente potrebbe essere esasperato, e divenire “estetizzante”: qui si rinviene lo Schumann più autentico, più genuinamente “romantico”.
Confrontando ad esempio la seconda variazione con la lettura che ne diede Maurizio Pollini (cd Deutsche Grammophon 1984, incisione che ha il merito di includere le cinque variazioni postume, qui assenti), si coglie una non piccola differenza: il grande pianista milanese infatti, accelerando inopinatamente il tempo, in quel caso ne depaupera un po’ il potenziale poetico, l’accesa espressività, laddove Gilels li lascia intatti e anzi li enfatizza.