A Small Document – The New Middle Ages
Nel sommerso del mondo musicale italico esistono entità in grado di dare speranza ad un panorama mediamente stanco, banalizzato da un’industria sempre più pressante, in cerca di suoni esageratamente facil, meglio se simili, molto simili a qualcosa che si è già ascoltato. Una di queste entità viene dalla Toscana e si chiama A Small Document, classico power trio che presenta il loro disco d’esordio, cantato totalmente in lingua inglese. The New Middle Ages è il titolo di un lavoro che inserisce di prepotenza il gruppo nell’ambito del rock indipendente, definizione approssimativa per un genere che spesso comprende realtà completamente diverse tra di loro, con risultati qualitativi oscillanti più che mai. In questo caso Mooar (voce), Billy Boy (chitarra) e Sirjoe (batteria) mettono subito in chiaro il loro intento, esibendosi in un rock genuino senza fronzoli che prende spunto da una parte dalla psichedelia più dura alla Blue Cheer e Iron Butterfly, dall’altra al più moderno grunge alla SoundGarden (la voce di Mooar spesso ricorda quella di Chris Cornell) il tutto con un approccio libero, che richiama i modi anarchici del vero punk.
Il disco si sviluppa in dieci tracce contraddistinte da un unico denominatore che si chiama energia. Come detto, la voce di Mooar è senza dubbio possente, roca, anzi rock al punto giusto, e trascina ogni pezzo verso apici di aurea maledetta. Ma è l’insieme della chitarra di Billy Boy e la batteria di Sirjoe a dare gli impulsi giusti ad un ritmo in cui velocità e frenesia sanno ben equilibrarsi con atmosfere più stonate e riflessive. Ed è proprio in queste ultime in cui gli Small Document sembrano dare il meglio della loro creatività, viaggiando su spazi silenziosi ed esoterici che il rock tirato di questo genere quasi sempre trascura a vantaggio dell’adrenalina a tutti i costi. Le idee quindi sono già abbastanza chiare per un esordio, ed anche se al primo ascolto si potrebbe pensare ad un sound non completamente originale, al secondo giro del CD verranno già alla luce spunti notevoli e di spessore.
L’apertura con Muddling Head farebbe pensare ad un idea più vicina al classico rock hardcore, con ritmi furoreggianti e poca concessione alle sfumature. Ma è solo un’impressione d’impatto visto che a seguire la title-track già mostra tendenze più vicine al lo-fi. Lo spirito di John Lydon si impossessa del trio Song Of Robespierre, interessante esperimento di punk psichedelico dal refrain intossicante, tutto concentrato in poco più di due minuti. Sempre mantenendo una loro identità rockettara, i tre virano invece su suoni pop-rock più moderni in New Strange Red Flavour, facile nella sua essenza ma impreziosita da assoli di sostanza. Le cose cambiano con Shock Down, autentica perla di stoned-groove che avrebbe fatto felici i fans di fine anni 60. Ritmi che cambiano continuamente, atmosfere soffuse e chitarre pronte ad esplodere ma sempre con la moderazione adeguata al viaggio allucinato che è in corso. E’ indubbio che in questo tipo di composizioni il gruppo si trovi completamente a suo agio. L’impressione è confermata da Mind’s Balloon, che di base è più veloce e strizza più l’occhio al rock classico ma indubbiamente rimane di natura psichedelica per i vocals un filo modulati ed i riff iperbolici. In World Loser il risultato è un insieme di punk-rock ed hardcore che improvvisamente si tramuta in una minisuite di psichedelia pura a chiudere il pezzo per oltre due minuti, forse i più belli ed i più ricercati di tutto il disco. Più canonico invece il trittico finale, soprattutto nelle piacevoli Billy Boy’s Trip e Desert Road, costruite su un rock orecchiabile ma comunque mai banale. La traccia finale, Frank Has Come, è un brano grunge di pregevole fattura, capace di mettere in mostra le diverse tonalità di vocali di Moaar e l’ecletticità di Billy Boy e Sirjoe nel dare vita a diversi frammenti musicali molto diversi nei tempi e nell’impatto sonoro.
The New Middle Ages è un album di cui potremmo sentir parlare tra qualche anno perché segna il debutto di una band talentuosa ed appassionata dal sound sicuramente internazionale, anche se legato in maniera imprescindibile a tendenze del passato che però, essendo pregnanti di genuinità, non moriranno mai