“Serving The Servant” Danny Goldberg, recensione

Una “generazione” in musica dura quanto gli anni di liceo

 

È strano, ma ci sono eventi che lasciano un segno indelebile in ognuno di noi. Infatti, nonostante il fatto che spesso i miei ricordi mi appaiono confusi, mi ritrovo a rammentare alla perfezione dove mi trovavo nel momento in cui sono crollate le Torri Gemelle, quando gli Stati Uniti decisero di dare inizio alla Guerra del Golfo, oppure quando seppi della morte di Paolo Mantovani, Freddie Mercury e Peter Sellers. Una serie di eventi che hanno inciso nella mia mente sensazioni, luoghi e persone. Una sorta di marchio a fuoco, soprattutto riferito ad eventi traumatici (diretti o indiretti poco importa), tra i quali ritrovo anche l’aprile del 1994, quando uno dei miei più cari amici mi disse che Kurt Cobain era morto. Ne fui sconvolto, perché per me, anzi per noi, Cobain e i Nirvana rappresentavano qualcosa in più di una semplice band, tanto è vero che le nostre autoradio divoravano in loop quel mondo grunge, che si era costruito attraverso la mitologia di Ten, Nevermind e Core.

Oggi, dopo molti anni in cui il mondo dei Nirvana è rimasto in un angolo impolverato della mia collezione di dischi, mi ritrovo a dover e voler riascoltare quella magnifica voce spigolosa e granulare che mi ha fatto pogare sulle note di Smell like teen spirit e mi ha devastato le idee attraverso il nereggiante Bleach e il postumo MTV Unplugged in New York.

 

 

Quel mondo, di cui ho fatto parte anche da un punto di vista estetico-culturale, in questi ultimi giorni è tornato a galla assieme a sensazioni, ricordi e aneddoti, grazie ad una nuova impeccabile opera dedicata  alla straordinaria band statunitense. L’opera, edita da Harper Collins Italia, ci invita in maniera educata ed osservativa a ripercorre il sentiero impolverato che Cobain intraprese partendo da Aberdeen sino a Seattle, passando dal Rohypnol, l’eroina e Curtney Love che, a differenza di altri libri sui generis, non viene percepita come elemento esclusivamente destabilizzante, ma bensì come inevitabile variabile di un percorso segnato.

Serving the servant, grazie alle parole di Danny Goldberg, appare un libro sincero, in cui l’emozione e l’emotività del ricordo mostrano una visione volutamente parziale di quegli anni, ricostruiti attraverso testimonianze, rammenti e memorie diversificate, atte a ricostruire un puzzle nel quale anche le peggiori situazioni appaiono avvolte da sensazioni accorte di un autore che, con il suo narrato, sembra voler entrare in punta di piedi.

L’opera, uscita a 25 anni dal suicidio che sconvolse la comunità grunge, offre un percorso schietto, in cui si da spazio all’evoluzione musicale della band, mostrandone sintetici ritratti inusuali, perfetti nel far emergere alcuni valori e alcune dinamiche di gruppo che hanno caratterizzato quegli anni. Infatti Goldberg, manager del terzetto dal 1990 al 1994, raccoglie con dovizia di particolari narrativi il rapporto che Cobain aveva con il successo, con i compagni di band, con la moglie, con la piccola figlia e con i media.

 

 

Tra i diversi aneddoti (tanti e gustosi) avrete modo di osservare la turbolenta dinamica relazionale con Eddie Vedder ed Axl Rose, le mediazioni con Mtv, senza mai tralasciare l’anti-machismo e l’amore per band minori, spesso raccontate visivamente attraverso le idee chiare e le inusuali ossessioni di un uomo che ha avuto la debolezza di cadere nella morsa dell’eroina, veleno spietato che ha vanificato la lucida ibridazione di intenti.

Un libro dunque da divorare, lasciando in sottofondo le note di una generazione partita dalla Sub Pop è esplosa alla Geffen.

 

Scheda:

  • Editore:HarperCollins Italia
  • Traduttore:Rotilio A.
  • EAN:9788869053962
  • ISBN:8869053962
  • Pagine:328
  • Formato:rilegato