“Radiomorte” Gianluca Morozzi, recensione
Si, la vita mi va bene, è rock
Radiomorte è un piccolo capolavoro contemporaneo.
Un viaggio negli orrori celati e nella follia feroce, una arrendevole brutalità ben definita da Mental Demise e Visceral Disgorge. Un romanzo, perché l’opera di Gianluca Morozzi è un romanzo, che avvolge il lettore sin dalla prima pagina, grazie al suo climax “musicale”, in grado di attrarre il mondo heavy senza esserne fagocitato. Una narrazione (s)composta che sembra riportare alla mente l’arte narrativa di Rob Zombie, senza dimenticare i visionari ed aberranti espedienti raccontati da Kim Henkel.
La storia verte attorno alla ricchissima e apparentemente felice famiglia Colla. Fabio padre e marito di successo, viene invitato con moglie e figli in una sperduta radio di provincia per un’intervista. I quattro, annientati dalla crudeltà del loro burattinaio (la Dj Kristel), dovranno scegliere: uno di loro non uscirà vivo dalla sala di registrazione.
Le circa duecento pagine scorrono via attraverso la fluidità narrativa del proprio autore, in un sconsiderato avvicendamento di eventi terrificanti, rivelati in una sapiente alternanza tra flashback e presente. Una sorta di movimentazione violenta e rapida quanto un brano dei Napalm Death. Il romanzo, in perfetta linea con le edizioni Guanda (Irvine Welsh, Jonh King) si affida ai suoi protagonisti per una discesa verso il tartaro, attraverso rimandi inevitabilmente legati al mondo della musica. Infatti, tra citazioni (If you want blood you’re got it) e rimandi diretti (Waiting for the Worms e Lasciami leccare l’adrenalina) la storia ci racconta gli eventi attraverso note e musicalità da divorare in pochi istanti.
Un libro che, sin dalla cover-art di Guido Scarabottolo, racconta una storia di ordinaria follia, ancorata ad un disorientante verismo.