Klidas “No harmony”, recensione
Packaging minimale, pulito e a tratti cupo, nonostante il bianco dominante. Una cover art che avrebbe potuto essere apprezzata da Jan Curtis.
Ecco i miei primi pensieri osservando No Harmony, debut albumdei Klidas quintetto marchigiano arrivato a vestire sei tracce emozionali, evocative e a tratti ipnotiche. Il progetto nato nel 2014 affronta un avvolgente ensemble di sensazioni reiterate e ipnagogiche da ascoltare nell’oscurità di un silenzio attentivo. L’album, posto sotto gli occhi vigili e attenti della Bird’s Robe Records, regala sin dalle prime note un’impronta progressive (Shores), piacevolmente mescolata a venature seventies rock e derivazioni post. Strutture sonore nuvolari che, nella loro ambia durata (Shine), risplendono su pattern stabili e modulari, in cui l’imprinting delle chitarre dialoga con sax e synth, mostrando gentilli striature jazz (Not to dissect).
Il disco si sviluppa mediante aperture narrative pronte a trovare il proprio focus in ciò che viene definito “Sentiero di trascendenza”, percorso da sognanti suite sonore (Arrival), che non dimenticano un’attesa distorsione della realtà caotica e tormentata, proprio come accade in The trees are in misery, a mio avviso tra le tracce più interessanti del disco. Infatti, il mood ai margini della cupezza new wave offre all’ascolto un vero e proprio viaggio, in cui perdersi tra sei corde imponenti ed un drumming inquieto, proprio come questa riuscita e consigliabile “assenza di armonia”.