Daniela Spalletta – Per aspera ad astra
Contaminazione? Mix di stili? Viaggio tra le musiche? Bella voce, intanto! vediamo insieme il resto…
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L’album di cui stiamo iniziando a parlare è, per cominciare a parlarne, un progetto ad ampio spettro. Sembra proprio così, all’ascolto, con un incedere che parte dall’orchestrazione per archi, ci torna volentieri, attraversa jazz e modernità, cammina lungo la voce, si fa terreno più volte ma altrettante volte (forse di più) si solleva per costruire architetture più articolate.
Compositrice, arrangiatrice e cantante, col primo progetto a suo nome datato 2013, Daniela Spalletta si mostra già in grado di non spaventarsi di fronte a ciò che è nuvo e insolito, si direbbe, e procede con molta determinazione lungo un album che la vede, come supporto principale lungo il percorso, accanto agli Urban Fabula (ne abbiam parlato molto bene qui), notevole formazione di quell’ambito che non chiameremo fusion perché si è deciso che fa brutto, ma che col contemporary jazz ha a che fare in modo davvero positivo e costruttivo.
È proprio qui, in questo centro voce-piano-ritmica, che passiamo i momenti migliori del lavoro, riscaldato da questo gruppo che sa essere valore aggiunto per via di grande sensibilità e solidità sonore abbinate ad una presenza tangibile e dirimente (nello specifico a dirimere tra un lavoretto ben fatto mainstream e l’intenzione di suonare bene e proporre uno stile). L’ulteriore vantaggio è che la leader ne guadagna a sua volta in calore ed energia, con brani che quindi suonano bene, scorrono, arrivano compiuti. Attorno poi gravitano, a vari livelli ed in momenti o modi diversi, la TRP Studio Orchestra -con arrangiamenti curati e un apporto non da semplice tappeto sonoro- e il chitarrista Jani Moder, a colorare le linee sulle armonie.
Questo “centro” di cui si parlava sopra è però anche un po’ il termine di paragone con cui si vive con qualche salto e discontinuità un album che poi, in altri momenti, indugia in un desiderio di sperimentazione anche vocale che, nulla da dire, mette decisamente in chiaro le qualità vocali della titolare, ma raggela un tot le atmosfere e toglie coerenza a quel tipo di approccio all’ascolto che voglia viaggiare appena più fluido e armonioso e che qui, invece, si trova un po’ sballottato tra musica da camera, jazz, world e contemporanea finendo per trovarsi in una sorta di bazaar, in cui c’è la sensazione di avere attorno articoli di alto livello ma non si trovano le cose.
Spaziare in un mare di posti è una scelta direi anche piuttosto evidente e perciò cercata, quindi lasciamo appunto a chi ascolta il personale giudizio su quanto certi passaggi stiano bene tra loro o semplicemente bene dove stanno. La percezione che talvolta serpeggia, però -trovandoci qui in dovere di dire la nostra a prescindere dai gusti personali-, è che si voglia un po’ strafare, avendo bravura e tecnica, in un progetto che alla fine… Fossero stati due o tre progetti poteva risultare più riuscito, ecco. Invece magari si finisce col (dis)perdersi un po’ tra vari mondi nitidi che però non si parlano, con la sensazione finale di non sapere dove si sia andati, di dove si volesse andare a parare, perché anche fare contaminazione è un’arte, e qui invece troppo spesso gli ingredienti sono scomposti.
Spiace un po’ parlarne anche così, perché la qualità qui espressa non si discute, la voce c’è eccome, i musicisti anche e la voglia di non esser banali anche, ma tanto vi dobbiamo come recensori che raccontano un lavoro ai lettori, anche quando detto lavoro è ben fatto e curato (forse la voce è un po’ troppo compressa? Parliamone…).
Brava, intanto, certamente.