Iron Maiden – The Number Of The Beast (1982)
Proseguendo questo lungo viaggio che ci vede saltare da un decennio all’altro, alla ricerca dei dischi da Isola Deserta, passando per i diversi stili musicali, non potevamo non fare tappa al 1982 per atterrare sul pianeta Heavy Metal.
Gli Iron Maiden si trovarono ad affrontare il passo artistico più rischioso che possa toccare a qualsiasi gruppo, vale a dire quello di dover cambiare il proprio front man. Infatti, il cantante Paul Di’Anno, che li aveva aiutati a raggiungere un buon successo con i primi due LP, non poteva più garantire la necessaria affidabilità e così, al suo posto, Steve Harris (bassista talentuso e vero leader del gruppo) e soci scelsero l’ex voce dei Samson, Bruce Dickinson. Il provino gli fu fatto con i quattro brani iniziali del loro omonimo disco d’esordio e, visti i risultati, fu subito catapultato in studio di registrazione per iniziare a dar vita al disco che avrebbe lasciato un segno indelebile nella storia di questo genere: The number of the beast.
Il lato A inizia con la trascinante guerra navale di Invaders per passare a Children of the damned che, pur cominciando con un ritmo meno serrato, sfocia presto in un crescendo da brividi, cesellato dalle inimitabili chitarre dell’accoppiata Murray/Smith. La batteria di Clive Burr (che lascerà presto il gruppo, dopo la morte del padre), apre alla grande la corsa verso la libertà di “Prisoner”, mentre la più enfatica “22 acacia avenue” racconta di un uomo che suggerisce a un amico un luogo dove c’è una prostituta di nome Charlotte che, con sole 15 sterline, diventerà il suo migliore “antidepressivo”. Ma lui, a sorpresa, incontrerà Charlotte per tentare di dissuaderla da quel tipo di vita per portarla via con sé (“You’re packing your bags and you’re coming with me”).
Il cuore del disco in verità è sul secondo lato che inizia con la geniale title track che, introdotta dalla voce infernale del celebre Vincent Price (l’anno dopo fece un cameo simile nel brano Thriller di Michael Jackson), descrive un incubo fatto dal succitato Harris, riportando alcuni riferimenti del libro dell’Apocalisse in cui le cifre 666 vengono indicate come il numero del diavolo. Non a caso, quando gli Iron Maiden portarono questo tour negli States furono pesantemente accusati di satanismo dagli attivisti cristiani, ma in realtà – a mio avviso – risultarono solo vittime della propria eccessiva teatralità, che da sempre ne caratterizza la modalità espressiva.
“Run to the Hills” e “Hallowed by the name” contribuiscono infine a rendere praticamente perfetto “The Number of the beast”, vera e propria pietra miliare dell’ideale classifica metallara di tutti i tempi.