Clipping”There existed an addiction to blood”, recensione

Arrivano da L.A.California e, ancora una volta accompagnati dalla Sub Pop, giungono al terzo album, immerso in un coraggioso experimental hip hop.

Protagonisti di questa nuova fatica dei Clipping sono: il poliedrico artista Daveed Diggs, William Hutson e Jonathan Snipes, vertici di un progetto acuto ed emozionale. Tre facce di un dado piramidale, su cui sono impressi background differenti, atti a convogliare le  idee verso di noi, similmente alle schegge ordinate e simmetriche della cover art, chiusa in un digipack lucido e nero, su cui polaroid vintage ci mettono a disposizione indizi su di una set list ben bilanciata.

 

A dare inizio allo storytelling è un veloce flow minimale, segnato dall’inquietante di Nothing is save, caustica e claustrofobica traccia che sembra pagare pedaggio al John Carpenter di Halloween (e Fuga da Los Angeles). Un sound oscuro e stringente, in cui le auree di horrocore sembrano fiorire attraverso passaggi metodici che si fondono nella suburbia criminale e orrorifica, pronta a trovare l’apice emozionale nel folle surrealismo di He dead. Composizione in cui la teatralità espositiva si unisce al featuring di Ed Baloon che, con il suo spokenword,  va a complementare una traccia stralunante.

Il disco, ricco di collaborazioni, prosegue spigoloso e arrogante, trovando uno dei suoi più riusciti momenti strutturali tra i finti solchi vinilici di La mala Ordina, in cui il mood ucronico disegna movimenti stilistici sorprendenti, adatti a giocare con gli interventi di The Rita, Benny The Butcher & El Camino. Proprio attraverso questa impeccabile composizione, peraltro, non troppo discosta da ambientazioni distorsive, la band offre all’ascoltatore una via preferenziale verso il noise contenuto di Prophecy e il duro impatto cybernoise di Run for your life, in cui La Chat in additional vocal riesce a portarci in una realtà parallela e fagocitante quanto la straordinarietà di All in your head, un vero e proprio colpo in pieno volto.

 

 

Se poi alcuni passaggi chatchy (Story 7) risultano più che mai funzionali all’inusuale andamento espressivo della band, a tratti dedita al gusto della poliritmica, è con Attunement che la follia rumoristica ha inizio, ponendosi al servizio di un continuum narrativo che trova in Piano Burning la chiusura di un disco accurato e folle, pronto a superare (o quanto meno sfidare) i  canoni di un mercato sin troppo banalizzato.

 

  1. Intro
    2. Nothing Is Safe
    3. He Dead (feat. Ed Balloon)
    4. Haunting (Interlude)
    5. La Mala Ordina (feat. The Rita, Benny The Butcher & El Camino)
    6. Club Down (feat. Sarah Bernat)
    7. Prophecy (Interlude)
    8. Run for Your Life (feat. La Chat)
    9. The Show
    10. Possession (Interlude)
    11. All in Your Head (feat.Counterfeit Madison & Robyn Hood)
    12. Blood of the Fang
    13. Story 7
    14. Attunement (feat. Pedestrian Deposit)
    15. Piano Burning (composed by Annea Lockwood)