Brando: ascoltando “Selfmade”
Certamente per i dischi di rap bisognerebbe avere una grandissimi dimestichezza con il linguaggio che cessa di avere un ruolo estetico e lirico come quello che troviamo dentro le volute del pop e dello storytelling tradizionale, in tutte le sue derive. Nel mondo del Rap il flow è esteticamente monotematico per quanto non poche volte cerca anche soluzioni melodiche e se lo fa vince quasi sempre. E poi le liriche, le parole, il loro suono e il modo tecnico, artistico e concettuale di risolvere il periodo, sono la chiave, la vera chiave di volta per il tutto.
La produzione RAP sta tornando in auge ed è sempre più ricca di produzione anche autonome e autoprodotte che ricercano il cliché delle tante scuole classiche, spesso americane. L’underground libero e resistente, l’emancipazione e quello sgomitare dal basso per arrivare rigorosamente da soli alla luce, in superficie. E poi il sesso che sempre più spesso torna dentro le trame romantiche e diviene amore, ispirazione continua di vita, la musica come in questo caso.
Brando, rapper emiliano classe ’95 e ormai attivo artisticamente dagli anni dell’adolescenza, arriva al primissimo disco ufficiale di inediti dopo diversi mix-tabe e singoli, alcuni dei quali troviamo anche dentro i tradizionali canali digitali. E sceglie un titolo evocativo: “Selfmade”, autoprodotto, un lavoro fatto, pensato, scritto e realizzato tutto (o quasi) da solo. L’America certamente ma troppo spesso anche l’esotico retrogusto di belle sensazioni, latinismi caldissimi che non guastano affatto come l’ultima “Fuego” (ripresa dal passato), o la seduzione anche lunghe del singolo “Maria” (ecco l’amore romantico che dicevamo prima, per quanto il video di lancio gioca moltissimo con la seduzione del corpo)…
E questi suoni, sempre esotici, che richiamano le sospensioni di “hang” o di Xilofono come nella primissima “Così” o dentro “Primi”, “Guai” e così via… E poi i fuori pista che sono vere chicche di ascolto come la prima che sottolineiamo che è “Ad ogni costo”: un vero viaggio circense di fiati ad impreziosire una cornice di bit urbani che nell’inciso trovano anche una gustosa linea di batteria suonata e anche ruvida nei contorni. E poi, sempre dall’intro esotico, citiamo “Bang” che forse è uno dei momenti più melodici del disco e la forza che mette in gioco l’inciso è da vero singolo main stream.
Suoni sghembi di antichità dentro “Sincero” che adorna una struttura dub moderna ed il contrasto è una faccenda di vera bellezza. E poi “Hennessy”, brano che come in altri sparuti momenti mette in scena scale turche e qualche retrogusto tipicamente balcanico da dove spunta (forse) il suono di un sitar che poco mi sarei atteso dentro un disco di rap.
Non sveliamo oltre perché “Selfmade” ha davvero tantissime carte da giocarsi ed è un’autoproduzione davvero interessante, dal suono pulito, dalle featuring molto efficaci e dalla forza estetica che ha davvero la possibilità di giocarsela ai piani alti. Per quanto riguarda l’aspetto lirico, Brando sa far bene i compiti a casa, non eccelle in chissà quale soluzione ma neanche perde colpi e occasioni di portare a casa una partita se non vinta del tutto quanto meno giocata con altissima dignità.
E dopo l’ascolto di dischi simili vorremmo davvero tornare alla stagione in cui questa musica suona su vinile e dentro i centri sociali, che la notte fosse anche sinonimo di gare di freestyle come accade anche dentro “Selfmade” che per celebrare tutto questo (o quasi, vinili a perte) ci regala “Punchline Freestyle”, una traccia scritta in pochi minuti e quasi del tutto (credo io) lasciata all’istinto dell’improvvisazione.
Bel lavoro Brando… come dici anche tu ora “Corri, non pensare ai tuoi problemi o alle distrazioni”… che con un disco come questo all’esordio direi che è tempo di correre per davvero.