Samuele Bersani – L’aldiqua recensione dell’album.
Samuele Bersani è uno di quei cantautori italiani che meglio rispecchia il clichè che, nel nostro immaginario, identifica il ruolo stesso del cantautore. In Italia questa figura è sinonimo di qualità, impegno sociale e culturale. Nel tempo però quello che era un ruolo con caratteristiche ben definite, si è via via differenziato, rispecchiando alla perfezione il mutato stato della società italiana.
Artisti che possono identificarsi in vario modo nella definizione di cantautore sono molti ma tra tutti voglio citarne uno, Caparezza. I suoi testi sono ironici, irriverenti, pieni di citazioni politiche sia di sinistra che di destra, le definirei un inno alla ribellione. Caparezza è il cantautore moderno, è l’evoluzione della specie.
Bersani è invece l’opposto. E’ educato, pacato, impegnato, sobrio. Io lo vedo come un cantautore degli anni ’60 che se ne stà un pò li sulle sue, osserva, capisce e colpisce.
Sopratutto colpisce. E quando lo fa lo fa in modo duro, disarmente, in modo inattacabile. Se le denunce caparezziane sono opinabili a secondo dei propri gusti politici, le canzoni di Bersani sono una esatta fotografia della nostra società.
Una canzone su tutte vale tutto l’album, Sicuro precariato. Raramente ho ascoltato una canzone di tale belleza, impatto e tristezza assieme. Il professore che racconta Bersani è una persona come me, che si trova in una situazione che non gli dà speranza, che gli mortifica le aspirazioni, che lo fa sentire inutile. Lo stato d’animo che esprime è di profondo smarrimento e rabbia, raccontati con grazia e certosina analisi delle parole. Non ci sono parolacce, non ci sono minacce ma lo stesso ascoltare questa canzone mette paura. Perchè è reale, e non artefatta, è lo stesso neorealismo di De Sica in Ladri di biciclette, c”è la stessa tristezza delle reti dei pescatori di Troisi nel postino, ma proprio per questo è la miglior canzone che ho ascoltato negli ultimi dieci anni in italiano.
Lo scrutatore non votante è più briosa e scanzonata. E’ un inno ai paradossi ma è perfettamente calzante a una certa categoria di persone che conosco. Le persone descritte non sono niente, nè carne nè pesce, stanno in mezzo, da sempre per sempre.
Occhiali rotti. Cosa dire di questa canzone? E’ dedicata a Baldoni, e sapendolo mi stupisco di come sia stato possibile per Bersani rievocare una tale tragedia in modo così emozionante e leggero. Occhiali rotti è una canzone di confine, sempre in bilico tra il ripmianto e il ricordo di una vita volata via. C’è la voglia di riabbracciare i propri cari per l’ultima volta e sentirsi libero da catene che gli impediscono di raccontare la verità al mondo.
Il disco è molto Bersani style. Il modo di cantare è quello, è quasi un marchio di fabbrica ormai. In giro per le riviste musicali ho letto che ormai Bersani si ripete, è sempre uguale a sè stesso, che sperimenta poco e forse è vero. Ma ce ne fossero di artisti capaci di abituarci come fa lui a dischi come questo. Saremmo tutti sicuramente più felici ascoltando meno schifezze.
Non vi prometto che questo cd si farà apprezzare al primo ascolto, non vi prometto che vi farà ballare al primo play, nè che ha ritornelli che vi entreranno in testa come un virus. Ma vi prometto che è un disco che saprà crescere con voi, che non riporrette su uno scaffale tra tanti ma che riascolterete sempre con piacere, e sempre apprezzandolo di più.