Samuele Bersani “La fortuna che abbiamo”, recensione

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Siamo ormai oltre i venticinque anni di carriera e quindi sarebbe il caso di includere anche su un piano oggettivo Samuele Bersani tra i cantautori, con quel piglio che si ha quando la classificazione viene attribuita solo a chi abbia percorso in qualche modo gli anni ’70.

È arrivato finalmente il live, ma d’altra parte è bene che sia arrivato ora, con repertorio e soprattutto corredo vocale a sostegno tali da rendere un album dal vivo solido, materico e davvero parlante per descrivere una timeline ricca di grandi canzoni.

I due concerti documentati qui sono due serate svolte a Milano e Roma nel 2015, con la band che ti aspetti grossomodo di trovare ad un concerto pop e con… beh, due concerti pieni di sorprese, per dirla col poeta: a Milano l’orchestra dei Pomeriggi Musicali, a Roma il Gnu Quartet e multi ospiti a duettare col nostro. Il risultato, di cui vi parliamo qui sotto, è un doppio CD più DVD che lo scrivente decreta in tutta sobrietà il più bel disco italiano degli ultimi anni.

L’inedito: la title track mi ha dato due giorni iniziali di irritazione per una linea di basso che nell’intro della strofa spara con evidente cattiveria gratuita un paio di note che ti dicono “tanto non mi trovi”. Fingere che si tratti di un dettaglio irrilevante consente di godersi nei giorni successivi un brano carico, ben arrangiato, un testo personale dalle metriche forse non tutte geometriche ma più spesso efficaci e coinvolgenti, con lui e lei in evoluzione dall’inadeguatezza al voler vivere tutto pienamente e per davvero.

Parte il live.

Qui andare in ordine forse non serve e ci si può divertire con le emozioni, visto che tanto le due serate hanno avuto per forza forme e contenuti differenti e non c’è obbligo di sequenzialità. Di questi due concerti (lo scrivente era in sala alla data romana) ciascuno dei presenti magari ricorderà parti specifiche perché per ciascuno coinvolgenti, e ce ne sono state davvero, in questo caleidoscopio di storie ed incontri.

Per esempio le esecuzioni emozionanti in chiave classica che hanno dato colori diversi a Spaccacuore o Occhiali rotti, versioni capaci di incorniciare, con gli anni che nel frattempo i brani han guadagnato, durevoli caratteristiche di questi pezzi: una definitiva solennità per il primo che è una delle grandi canzoni d’amore finito; la vena ironica e disincantata del secondo, a trattar la morte violenta come un western amaro di saluti e ripensamenti sulla vita e lasciarci anche il sorriso in un ricordo.

Una bella storia è quella del duetto con Marco Mengoni, che ha cantato Il pescatore di asterischi mettendoci del suo, aggiungendo Mengoni a Bersani, integrando un brano già bellissimo con un’interpretazione più dinamica e lanciata.

Solido e felicemente non sorprendente (lo sapevamo già bene) è invece il rapporto con Pacifico, che qui è nelle canzoni scritte a quattro mani, Le mie parole e Le storie che non conosci, con quest’ultima a chiudersi sulla foto e sulla voce di Guccini ed il pubblico ad applaudire anche il maestro.

Petra Magoni e Ferruccio Spinetti, per gli amici Musica Nuda, hanno invece illuminato una versione minimale per contrabbasso e voci di Come due somari, storia di amanti al bivio. Quanti profumi differenti ha la musica, che qui viene arrangiata di nuovo pur mantenendo la connotazione acustica originale.

Più timido e misurato l’intervento di Carmen Consoli su quello che in effetti è per alcuni lo standard assoluto di Samuele, Giudizi universali, reso sostanzialmente com’era e quindi splendido. Così come teoricamente Chicco e Spillo non viene toccata più di tanto se non per la conversione ai suoni acustici e per il dettaglio che il rap stavolta lo fa il signor Caparezza… ovazione del pubblico trainato da un ritmo che si porta via anche i cantanti, sorridenti e contentissimi.

Sul finale spazio ai classici di gioventù ma anche ad un duetto che è un po’ un trio: con un Luca Carboni anche lui emozionato c’è chiunque altro nell’auditorium a cantare Canzone, scritta da Bersani per la musica di Lucio Dalla. Con Luca il ritornello diventa una specie di inno alla melodia italiana e si sta tutti con Lucio.

A impreziosire tutto nella tappa romana, dicevamo, i musicisti del Gnu Quartet, precisi e col groove giusto per stare sempre in tensione tra il rigore esecutivo di un quartetto classico e gli arrangiamenti virati pop. La band è compatta, omogenea, presente e quadrata, semmai anzi meritevole di maggiori spazi per soli meno ancorati alle versioni native dei brani, visto che quando qualche secondo c’è viene fuori senza alcuna fatica la bravura dei singoli, per chi ancora non ne fosse stato a conoscenza.

In mezzo s tutte queste variazioni sul tema ci sono altre canzoni proposte senza ospiti e più vicine alle versioni su “disco” (per chi le abbia su supporti rotondi). Un pacchetto di brani che davvero impressiona per qualità, precisione della parola e gusto per l’originalità in musica, tra quel che giustamente ha da rimanere cantabile e il desiderio di un guizzo in più fuori dallo stagno di un pop obbligato. Molti pezzi, è il caso di dirlo, al di là d’ogni gusto personale stanno tra il mezzo capolavoro e l’altro mezzo. È oggettivamente complicato inanellare così tante belle canzoni una dopo l’altra.

Imperdibile?

Beh, son parole che vanno dosate, che non è sano usare ogni tre per due, che chiedono misura, pacatezza, parsimonia.

Imperdibile.