Gabriele Masala ed Enrico Ruggeri: “Avevamo ragione”
Una combo preziosa e importante quella che unisce musica e testi, una sorte di “Battisti-Mogol”. Al primo la penna, al secondo il suono. E come di consueto, il nome in copertina è quello di ha scritto la musica. Gabriele Masala dunque ricama note e modi attorno alle liriche inedite di Enrico Ruggeri. Nasce un disco dal titolo ingombrante come “Avevamo ragione”, disco di pop d’autore, moderno, dalle intenzioni classiche ma che non rifiuta qualche buon passaggio digitale.
Facendo un volo a planare sulla tua musica ho come l’impressione che questo disco sia più morbido, dolce e accomodante. O sbaglio?
Rispetto agli ultimi miei due album, forse sì! Sicuramente è, da un punto di vista arrangiativo, più morbido, ma non poteva essere altrimenti. Lavorando su testi non miei ho voluto affrontarli quasi coi guanti, trattandosi di Rouge.
Anche le distorsioni del rock ai bordi sembrano cambiate… registrazioni a parte, c’è una maturità diversa?
Non saprei. Io parto dal presupposto che l’atmosfera di una canzone sia data dal suo testo, di conseguenza anche gli arrangiamenti devono essere in linea con essi, quindi, forse, ho calcato meno la mano su distorsioni varie e mi sono concentrato più su altre cose. Questo è un album dove lo strumento dominante è il basso, cosa che non mi sarei mai aspettato.
Ci incuriosisce sul come tu sia riuscito a trovare una quadra sui suoni. Brani come “Zelig” sono assai complessi… il testo ti ha guidato nella scelta degli abiti?
Sì, Zelig è sicuramente quello che mi ha messo più in difficoltà. Volevo davvero che l’arrangiamento seguisse il filone del testo e, parlando di trasformismo, ho cercato una strada musicale dove fosse messo in risalto questo aspetto; si passa dall’elettronico all’elettrico in pochi secondi e mi sono divertito anche parecchio.
“Una parola” è una degna chiusura. Siamo nel pieno degli anni ’90 e questo brano chiude tutto… anche i tuoi concerti?
Negli album una chiusura così mi è sempre piaciuta molto, ma nei concerti preferisco terminare sempre in crescendo e mai con toni malinconici. Il fine concerto è una festa e chi va via deve avere ancora un bel ritmo in corpo, quindi ci si saluta sempre con brani “aggressivi”.