Francesco Lattanzi: ascoltando “Alla morte”
Ho difficoltà a ragionare lucidamente dentro i meandri infiniti di questo secondo disco del cantautore laziale Francesco Lattanzi. Un titolo emblematico come “Alla morte” significa per me tutt’altro… significa come una protezione spirituale alla vita, un canto antico, elegante, in cerca di connessioni spirituali verso un’attenta custodia alla ragione di vivere.
Tante le citazioni, tanti i riferimenti che per molti tratti sfacciatamente devono la forma e le intenzioni a quel Battiato onirico e cantilenante che sempre ha cercato il ricongiungimento col sé dentro ogni nota. E Lattanzi sembra voler fare anche questo indagando da vicino le dinamiche che gli uomini e le nazioni mettono in gioco. Si parla tanto di guerra citando Badeschi, Stern, Corti, Caruso e tanti altri. Il disco si apre con un piccolo gioiello dal titolo “Gli angeli di Horlivka” impreziosito dal bellissimo video girato in Bielorussia dal regista Dmitrij Dedok: ci sono i temi della morte, del tempo, della salvezza, della coscienza… c’è la politica ma anche l’amore all’umanità così anche quella melodia che richiama Battiato ma anche quel certo sagomare in modo crudo le liriche che tanto deve i natali a Claudio Lolli.
E il disco spezza questa atmosfere con la successiva “La sabbia e l’imbroglio” e il rimando al romanzo della Fallaci è praticamente ovvia. La title track del disco mette in luce una bella cura per il suono di chitarra acustica e quel gusto in novenari che al cantato dona quella certa risonanza con il fare di Fabrizio De Andrè. In “Vincent e le stelle” arriva il primo omaggio tradotto qui dal successo di Don Mc Lean (il secondo arriva quasi alla fine con il brano “Strade di Londra” tradotto da un brano di Ralph Mc Tell)… e se possibile è anche la scusa buona per mettere in scena richiami battistiani soprattutto quando la voce cerca di modulare le vocali in chiusa. “La tregua” è uno dei tanti richiami alla letteratura sulla guerra, come l’eponimo romanzo di Mario Rioni Stern… in fondo è da questo momento in poi che Lattanzi sembra prendere sempre con maggior fame da Faber anche nel ritmo incalzante di “Strage per sempre” come anche nella chiusa con “Il primo giorno di scuola” dentro cui si ravvede una certa leggerezza a pastello nei colori delle metriche e quella voce di donna che ci regala incanto e visioni favolistica molto attigue alla canzone del maestro genovese.
Francesco Lattanzi in questo disco poteva sicuramente giocar molto meglio suoni e arrangiamenti, poteva dare al disco una dimensione più alta e moderna… ha invece scelto una strada conformista e conservatrice, un modo di dire e di fare canzone che probabilmente si rende antico e fuori target oggi per gli ascolti abituali. Di contro “Alla morte” mette in gioco quel ricamo lirico, quella scelte di parole e di allegorie che oggi davvero – e lo dico con polemica – non si ha quasi più la capacità di comprendere. Sono dischi di questo tipo a restituire un peso specifico alto alla canzone d’autore e alla sua parola.