Eugenio Ripepi: “Roma non si rade”…
Torna in scena Eugenio Ripepi e lo fa con un disco complesso per quanto sottile e agile nell’ascolto, spesso anche gustosamente scanzonato dentro ritmiche lontanamente popolaresche dal costume impegnato e intimo di un cantautore come lui. Ma lui è anche questo… è apertura mentale sicuramente ma anche dedizione all’espressione che fanno di “Roma non si rade” un disco che merita attenzione anche per la sua eccentrica capacità di modificare le attese, dentro testi volutamente incisivi dove serviva esserlo ma anche trasparenti nella loro goliardia dove necessario. Primo cpaitolo di una dilogia: sottotitolato “Colori a occhi chiusi – occhio destro”, questo nuovo disco di Ripepi si dedica all’istinto, all’immaginario, all’emozione di quello che viene percepito. Niente contro la ragione ma probabilmente, almeno per questo primo appuntamento, ad essa il compito di restar appena dietro: è tempo di lasciar parlare l’arte e i misteri delle sue parole che però non sembrano mai gettate per caso dall’istinto: la scrittura di Ripepi è davvero di una buona dose poetica e – se mi si concede il termine – pubblico rispetto.
Nuovo disco per Eugenio Ripepi. Una dilogia: cosa intendi?
Due parti di uno stesso insieme. C’è per me la necessità di concepire questi colori come due comportamenti completamente diversi della mia anima, di reazione a ciò che è la risultante di uno sguardo a occhi chiusi. Questo primo disco attiene alla parte metafisica, ed è una raccolta di esperienze molto varie tra loro, per questo motivo vario musicalmente, anche se gli intenti di massima sono abbastanza tranquilli. Il nuovo disco sarà invece arrabbiato sia musicalmente che nei contenuti letterari.
Dunque è già pronto il disco per “Occhio sinistro”?
Sono già pronti i pezzi, da tanto tempo, con le melodie. Con il gruppo stiamo divertendoci ad arrangiarli, in remoto per adesso, dato che la situazione attuale non consente possibilità di incontro in presenza.
Quando scrivi “Colori a Occhi Chiusi” intendi rendere omaggio ad una fantasia che ormai non c’è più nella gente?
È un’interpretazione molto interessante. Senza dubbio purtroppo la fantasia sta scomparendo da questa società in luogo dell’efficienza. Grandissimo errore. Lo vedi nel mondo del calcio, dove non ci sono più i Roberto Baggio, gli Alessandro Del Piero, i Ronaldo (non Cristiano). Vedi la paura di chi si accosta al mondo della musica, intendo i più giovani, alla ricerca di qualcosa che funzioni. Ma quello che funziona per un pubblico senza fantasia non potrà essere un elemento di soddisfazione nella vita di nessun artista che lo produce.
Secondo te la musica ha ancora il potere di far vedere alla gente cose che le parole non sanno spiegare?
Ma certamente. Roberto Vecchioni canta “Io conosco poeti che spostano fiumi con il pensiero”. Il problema è che da qualche anno si è perso di vista il contenuto letterario come valore nella forma canzone, e si basa solo quasi tutto sul ritmo, sulla melodia e sulle capacità canore. Perché le parole accompagnate dalla musica abbiano più incidenza del parlato, bisognerà che si cominci a rivalutarle.
In tal senso vorremmo sottolineare “Specchi negli specchi”. Una preghiera in tutto e per tutto. Una preghiera che è riuscita ad appartenermi e che penso non abbia difficoltà ad appartenere a tutti. Com’è nata? Queste orchestrazioni e cori?
Innanzitutto ti ringrazio, questo mi fa molto felice. Sono quei brani che molti ti sconsigliano di portare avanti, e invece poi alla fine la risultante spesso fortunatamente è una identificazione progressiva. Bisogna responsabilizzare il pubblico, se si vuole veramente cambiare qualcosa nella percezione dell’Arte, non considerandola soltanto come intrattenimento. “Specchi negli specchi” ha senza dubbio un testo molto complesso e articolato, e necessitava, come intuisci, di un’importante orchestrazione. Gli arrangiamenti sono di Marco Reghezza, stimato compositore vincitore di oltre 40 premi internazionali, la cui musica è stata eseguita e trasmessa nelle radio di molti stati. Marco Reghezza dirige in “Specchi negli specchi” l’OpenOrchestra di Imperia, registrata live presso lo Spazio Calvino cittadino dal sound engineer Giovanni Nebbia, che ha poi masterizzato il brano presso l’Ithil World Studio. Canto con l’accompagnamento delle voci del Coro Mongioje di Imperia, che nel 2013 ha festeggiato il cinquantennale di attività. Il coro, diretto da Ezio Vergoli, ha partecipato al Dopo Festival di Sanremo e nelle ultime incisioni dei Deproducers di Vittorio Cosma, Max Casacci e Riccardo Sinigallia.
Si vive bene quando ci si incatena alle catene secondo te?
Si vive malissimo, e nella canzone è una dichiarazione di resa, un ritiro non spirituale, un addio alle armi, una fuga dalle responsabilità che non sono quelle del quotidiano, ma quelle etiche con cui prima o poi tutti dovremmo fare i conti, una diserzione dalla lotta che dovremmo ingaggiare con noi stessi per ritenerci degli uomini migliori.
Nella chiusa “Ci sarà” ci dici (perdonami per la sintesi violenta) che il sistema e la sua vetta funziona grazie al fatto che noi siamo stati educati a non pensare… una frase importante…
Ci sono diversi livelli di responsabilità. Una scuola, e lo dico con cognizione di causa avendo avuto e avendo tuttora la possibilità di insegnare ai ragazzi, che valuta maggiormente l’efficienza, il prodotto, la parola chiave di una poesia anziché una complessa lettura che dia spazio a ogni interpretazione, e che è così distante dai manuali di didattica che suggeriscono l’opposto, che invitano alla responsabilizzazione dell’individuo, alla sua inclusione in un sistema di pari. Purtroppo spesso la scuola è l’anticamera dei problemi del mondo, dove la didattica è messa in secondo piano rispetto alle problematiche della convivenza, mal gestite dalla presunzione di genitori che troppo spesso ritengono che i propri figli debbano primeggiare rispetto agli altri, che si pongono in contrasto con gli insegnanti, delegittimandoli, e che non comprendono che il passaggio della delegittimazione è una strada senza ritorno, perché i ragazzi non saranno più in grado di avere il minimo di rispetto che si chiede nei confronti di chi conduce, anche considerandolo come un pari con maggiore esperienza, come una via di consiglio, come un possibile contraltare di scelta. Se tutti devono essere più bravi degli altri, nessuno può rimanere indietro. Certe volte invece bisogna capire che qualcuno sarà più adatto a orientarsi verso una tendenza, qualcuno verso un’altra. Anche questo è suggerito dai manuali della didattica, Ma non è quello che avviene. Bisogna che tutti in generale si diano una calmata. I padri e le madri di ragazzi sempre più stressati, che fanno attività in cui non credono, più per una spinta di chi li ha messi al mondo o di chi aiuta a gestire la loro vita. E anche i cosiddetti nativi digitali, devono essere guidati ai valori che si trovano fuori dalla realtà virtuale, nella realtà concreta, nel contatto. Se si perde questo, si perde la possibilità di costruire un mondo su fondamenta solide. Le fondamenta virtuali sono labili. Se cadono, non è più possibile recuperare.
Per fortuna oggi esiste anche una scuola buona, diversa da quella che ti legava al banco, quella che ho vissuto io da bambino. Ma fuori dalla scuola il bombardamento mediatico ti impedisce di concentrarti sulle grandi questioni contemporanee, sul disequilibrio sociale, sul collasso climatico, sulla spersonalizzazione dell’individuo.