Vade aratro “Agreste Celeste”, recensione

Dal 1985 ascolto incessantemente Heavy Metal. Sono cresciuto ascoltando Grind, Glam, Brutal, Death, Thrash, Gore, Slamming e Black. Mi sono avvicinato a sotto categorie elitarie. Ho scoperto gradatamente le nuove frontiere delle estremità…ma, ancora non mi era ancora capitato di incappare nel HMA: Heavy Metal Agreste.

Fertilizzati dalla campagna felsinea, i Vade Aratro (monicker geniale) arrivano a noi attraverso il mondo di Andromeda Relix, attraverso un curioso doppio vinile dall’improbabile cover art. Ventidue tracce che (come si legge nell’info sheet) non appaiono semplici, ma si mostrano accessibili, grazie ad un’immediata empatia con l’ascoltatore che, di certo, si ritroverà sballottato tra surrealismo cantautorale (Chicco di grano), l’heavy onomatopeico di La punturaia e le agricole sensazioni festanti di La festa del grano.

 

 

Il lungo tragitto proposto da questo nuovo terzo lavoro, sarebbe stato di certo nel gusto estetico del mitologico Freak Antoni, per una serie di motivi apparenti che, partendo da un uso sapiente del lessico, qui innestato su sonorità “inascoltabili”, appaiono in grado di giocare con ritmiche punk (Sant’Antonio del porcello e Lucertole e libellule), sperimentalismi grotteschi (Chiarivari) e brevi storytelling (Il tesoro dei vecchi), in cui sensazioni Zen Circus si mescolano ad un recente passato narrativo.

 

L’album, disponibile in streming e in doppio LP da 180 grammi, nella sua lunga gittata gioca con piccole e curiose narrazioni che, proprio come accade con Dentro lo specchio riescono, con semplicità, a invitarci in un mondo strampalato, pronto a ritrovare in Ho chiesto a 30 rospi un tocco di destabilizzante impostazione contenutistica.

 

Insomma un disco piacevole e stranente.