Megaride: il metallo del qui ed ora
Più che metallo pesante uno stoner convincente quello dei napoletani Megaride, disco dal titolo “Mo’” uscito oggi per la Karma Conspiracy Records, lavoro che segna i natali di una carriera che affonda le radici del suono dentro le classiche volute dello stoner internazionale dentro cui, nei momenti più rilassati di dinamiche aperte e cadenzate, sfoggiano quel gusto tutto roots del rock alla Nickelback, un poco main stream un poco grunge vecchia maniera.
E questo discorso su tutto vale per “Cascate”, brano che ci introduce alla chiusa del disco e che, nel rilassare il tiro fin qui rigido e puntuale, dimostra che la band ha un gusto davvero ampio della forma e dello stile. Infatti tutto il disco, per i primi 6 brani, ha mantenuto una dialettica ferma e ripetitiva che quasi ha rischiato in una monotonia che somiglia tanto a mancanza di ispirazione. Ma non è affatto così se affrontiamo l’ascolto con ascolti mirati e attenti: i powerchord di “Zio Stone” ci riportano ai ghetti americani e ad un certo crossover di maniera e l’inciso di “Must Ovèr” ha quella scanzonata leggerezza pop che sa molto di glam inglese. Ed è assai pungente il testo di “Baagarìa”, ben confezionato nelle metriche delle strofe… com’è decisamente interessante la storia che regna dietro il singolo “A piedi nudi” (titolo che inevitabilmente mi riporta all’ultimo disco di Silvia Conti, ma questa è davvero un’altra storia), brano che qui invece dimostra un tiro davvero travolgente ad incorniciare la commovente storia di Alice Marie Coachman, ovvero la prima atleta afroamericana a conquistare un oro olimpico nel 1948 nella disciplina del salto in alto.
Encomio non solo per il coraggioso uso dell’italiano che su generi simili stona parecchio, ma anche perché non paghi di questo i nostri sfoggiano un napoletano che oggi, purtroppo per motivi tutt’altro che carini, sta andando tanto di moda. La vetta di tutto, per mio personalissimo gusto, la raggiungiamo alla fine: “Viaggeremo” mette in mostra una produzione di drumming e di soluzioni di arrangiamento tutt’altro che amatoriali, belli i riverberi e altrettanto interessanti i ricami di chitarre. Brano che in fondo apre alla speranza dopo tanta denuncia e a seguito di fotografie sociali che di certo, in queste canzoni, non sono per niente rincuoranti. “Mo’” – che nel titolo vuol essere una frecciatina acuminata e velenosa all’invito di vivere nel qui ed ora – è un disco sociale, una bandiera politica, un manifesto romantico di questa nostra cruda società. Lo troviamo anche in vinile… così che si può far sfoggio come si deve di questa copertina disegnata che onestamente riguarda molto il suono che troveremo dentro e meno (forse) le tematiche con cui dovremo fare i conti. Che parlare di quel che siamo non è mai troppo facile… anzi…