The Cure: Recensione del Live at Troxy di Songs of a Lost World (LONDON 1st NOVEMBER 2024)
Era maggio 1989 quando vidi i Cure dal vivo, al Foret National di Bruxelles, per la prima e unica volta.
Era uscito da poco il loro album capolavoro Disintegration e l’attesa era tanta. Suonarono un set indimenticabile di due ore e tre quarti, tanto che sembrava non volessero finire più. In occasione della presentazione del loro nuovissimo Songs of a lost world, hanno voluto fare un grande regalo a tutti quei fan, come il sottoscritto, che li hanno aspettati per 16 anni, trasmettendo in diretta su You Tube l’unico live di tutto il 2024.
Aspettando che il concerto iniziasse, davanti allo schermo, è stato inevitabile riprovare in parte quelle emozioni così forti, pur con tutte le differenze fra il presenziare fisicamente un evento e vederlo comodamente a casa nella propria stanza. La setlist non poteva che cominciare proponendo le nuove canzoni in maniera didascalica e così, in luogo della solita recensione dell’album, l’occasione per noi si presenta come un vero e proprio assist, per raccontarvele in questa sede e non in una recensione “dedicata”.
La ballata Alone, bellissimo singolo uscito ormai da diverse settimane, apre le danze e in qualche modo indica la strada che è stata fortemente voluta da Robert Smith. Ritornare dopo così tanti anni e dopo due ultimi album deludenti doveva rappresentare un evento memorabile, evitando possibili fallimenti che avrebbero minato la storia leggendaria della band. Ecco, quindi, che un disco dal mood categoricamente dark, con sole 8 canzoni tutte scritte dal frontman dei Cure, poteva essere l’idea giusta a patto che i brani fossero all’altezza delle aspettative.
Dopo averlo ascoltato tutto più volte, posso dire che Songs of a lost world è un grande album e che l’obiettivo è stato centrato. Entrando maggiormente nel merito, il pezzo seguente, And nothing is forever,ha una dolce melodia in grado di emozionare già al primo giro e anche A fragile thing ha tutto per divenire un instant classic della band inglese, col suo piglio radiofonico e quel testo che parla della fragilità dell’amore.
In mezzo al disco i Cure piantano i due alberi più rock e graffianti, Warsong e Drone:nodrone che portano il mood da un livello riflessivo e introspettivo ad uno più energico, se non addirittura aggressivo. Ma tornerà subito verso sentieri più malinconici, col trittico finale formato inizialmente da una I can never say goodbye da brividi, dedicata al fratello di Smith, morto diversi anni fa e da una elettrica All I ever am. Chiude il tris d’assi Endsong che riporta ai fasti dark di Faith e Pornography, con una sezione ritmica ipnotica.
Il resto della scaletta è una valanga di musica che, da una parte, ripercorre tutte le varie ere con gli episodi più oscuri (Plainsong e Disintegration), ma anche quelli più solari (Friday I’m in love, Just like heaven e In between days) e dall’altra – un po’ a sorpresa – si concentra sul loro secondo album del 1980, Seventeen Seconds (in vista delle imminenti 45 candeline)dal quale riprendono: At night, M, Secrets (che non veniva suonata dal 2011) l’inno Play for today, el’immancabile A Forest.
Chiudono, dopo aver suonato già 30 pezzi, con quella Boys don’t cry dalla quale tutta l’avventura mainstream cominciò.
Se amate i Cure sappiate che sono tornati alla grande, credetemi!
PS: E se non ci credete, rivivete voi stessi le mie emozioni, gustandovi il live integrale. Sono certo che non ve ne pentirete
PPS: Evito di riportare la scaletta, per non privarvi della sorpresa, ma sul web sarà comunque facile reperirla, qualora fosse curiosi
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