UNBOXING: THE DARK SIDE OF THE CURE (WAITING FOR “SONGS OF A LOST WORLD”)

Vorremmo ripercorrere – in 10 video (+ bouns track), come è ormai nostra consuetudine nei nostri UNBOXING – la carriera dei Cure passando in rassegna gli album più significativi ed i loro pezzi che meglio si sposano con il sound di Songs of the lost world. Si tratta verosimilmente del disco più atteso dell’anno di una delle band più longeve fra quelle che diedero vita alla musica post punk degli anni 80.

Il primo album nel quale inizia a prendere forma la musica dark del gruppo capitanato da Robert Smith è Seventeen Seconds che è in realtà la loro seconda prova in studio, uscita nel 1980. Diversi sono i brani che ne compongono la track list, basati su una sezione ritmica ipnotica e tastiere stratificate che danno vita ad atmosfere cupe, le quali fanno da sfondo a testi introspettivi e malinconici. Ma fra tutti, quello che ha da sempre rappresentato la punta di diamante dell’album e che meglio è riuscito a mantenere intatto nel tempo tutto il suo fascino è certamente A Forest, che non a caso ancora trova spesso ancora spazio nei loro frequentatissimi live.

Un ulteriore passo, a mio avviso, in termini estetici è rappresentato dal disco successivo: Faith, pieno di pezzi memorabili come title track conclusiva, dalla durata e il mood tutt’altro che radiofonici. Dovendo scegliere un episodio che meglio rappresenta il disco, e che è fra i miei preferiti in assoluto, punto su Other Voices, la cui bassline è veramente straordinaria.

Impossibile tralasciare anche il singolo Charlotte Sometimes, della stessa era di Faith, che troverà spazio solo nel loro primo greatest hits. Un brano dark semplicemente epico.

In verità il primo capolavoro dei Cure è Pornography. Un disco che definisce al meglio il loro approccio e soprattutto incarna in modo ancor più completo e totale lo spirito oscuro della band. One hundred years, The figurehead e The hanging garden i tre brani più celebri, ma ce n’è un altro che forse rappresenta ancora meglio il suono che verrà (e che, come vedremo, troverà la piena maturità in Disintragration): A strange day.

Nei due album successivi i Cure si allontanano dalla musica dark e virano verso lidi più pop (Japanese Whisper) e rock (The Top) ma non sfondano. Il disco che farà la fortuna commerciale della band è invece il successivo Head on the door grazie a due singoli molto più radiofonici come In between days e Close to me.

In quell’ LP si nasconde però una perla dark molto preziosa Kyoto song che in questa monografia non possiamo certo fare a meno di mettere sul podio.

Il successivo album doppio, Kiss Me, Kiss Me, Kiss Me è forse il disco più eterogeneo (il loro Songs of the keys on life, giusto per fare un parallelo col doppio di Syevie Wonder o il White Album dei Beatles) nel quale la band si scatena su tutte le sue anime. Non potevano quindi mancare anche brani dark come le splendide One more time o A Thousand hours, ma soprattutto If only tonight we could sleep che, con quei suoni orientali ed esotici, rappresenta certamente un unicum nel loro percorso artistica.

Arriviamo al 1989, anno in cui i Cure toccano contemporaneamente sia la vetta a livello commerciale sia a livello artistico. Esce Disintegration e finalmente la loro musica dark trova nuove forme espressive che riescono a far breccia anche fra i fan che li ascoltavano solo per Just like heaven o la sopra citata Close to me. In altre parole la loro anima oscura diventa accessibile, anche grazie a canzoni come Lullaby e Pictures of you dalle melodie più immediate. Difficile estratte una sola pepita in una miniera d’oro come Disintegration, ma forse The same deep water as you è forse quella che meglio si sposa con la carrellata che stiamo presentando. Un brano semplicemente epico.

Nel 1992 esce l’attesissimo Wish che in un certo senso ripropone la formula di Kiss Me, Kiss Me, Kiss Me vale a dire un miscuglio di Rock (Open), Pop (Friday I’m in love) e Dark (Apart, Trust) ma lo stesso Smith ha recentemente dichiarato che la sua preferita è To wish impossible things e sinceramente siamo totalmente d’accordo con lui.

Del disco successivo Wild Mood Swings certamente non uno dei più belli die Cure i brani degni di nota non sono moltissimi ma Bare (che come spesso capita, con loro, chiude al meglio il disco) merita di stare in questa nostra playlist.

L’ultimo disco interamente Dark dei Cure (che con Pornography e Disintegration forma una Trilogia alla quale dedicarono anche un DVD live) è Bloodflowers. Forse non ha la magnificenza dei due predecessori, ma è senza dubbio un grande disco che fra i suoi nove brani presenta la dolce The last days of summer, una spanna sopra tutti.

Speriamo di avervi aiutato, con questo nostro UNBOXING, a fare un recap sui Cure che ci attendono col loro nuovo Songs of a lost world di cui proponiamo in coda la nuovissima Alone (anticipata live nell’ultimo tour) che è stata piazzata in apertura e sarà la canzone con la quale inizieranno i loro concerti per molto tempo.