Rein – Est!, recensione
Per essere grande, un gruppo deve avere storie da raccontare, e saperlo fare. Deve rappresentare una visione del mondo, lasciare una testimonianza.
Tutto questo, lo trovate nei Rein.
I Rein hanno certamente radici profonde nel panorama folk-rock italiano e internazionale, ma hanno la capacità di portare una propria cifra stilistica che li rende riconoscibili e mai manieristici.
I loro testi sono costruiti con una cura che raramente si può ritrovare anche nei lavori di artisti notissimi e molto quotati.
I Rein inoltre trasmettono la piacevole sensazione di credere veramente nei valori promossi nei loro pezzi, ad esempio dimostrando una apprezzabile coerenza tra la loro dimensione artistica e le loro scelte in termini di produzione e distribuzione del loro lavoro. Difatti, i Rein, che esistono dal 1999 e hanno alle spalle centinaia di concerti e diversi riconoscimenti di critica, rimangono convinti sostenitori del download legale. Si sono disiscritti dalla SIAE e rendono i loro lavori scaricabili gratuitamente. Tutti i loro lavori sono infatti distribuiti con licenza Creative Commons, in nome della libera circolazione delle idee e della condivisione della cultura.
Chiunque voglia sostenerli o voglia avere la loro musica su CD invece che in formato mp3, può comunque entrare nella sezione “Bazar” del loro sito e acquistare i loro album in versione CD, offerti peraltro a prezzo popolare.
Est! è un lavoro del 2007. Si tratta di un EP che, tuttavia, appare più come un album breve. Breve, solo sei brani, ma intenso, pervaso da un continuo scambio di piani tra lo sguardo sociale e la riflessione personale. Non è un lavoro intimistico, almeno non in senso classico, ma nemmeno di lotta politica.
E’ un bellissimo affresco che mette in rapporto persone ed eventi, ponendo a confronto culture differenti e la loro rappresentazione.
E’ uno scorcio sull’Europa, letta con occhi posti a metà di quella cortina di ferro impalpabile, fatta di pregiudizi, di valori, di una storia che è comune solo in parte.
Una barriera culturale che, di fatto, rende reciprocamente estranee culture di popoli distanti poche centinaia di chilometri.
Est! non cede alla denuncia sociale sfacciata, non si crogiola nell’autocompiacimento, ma scivola veloce, semplice e diretto, sia per il tono generale dei testi che per il ritmo veloce che lo caratterizza.
La linea melodica che caratterizza i sei pezzi rimane sempre semplice ma non povera, bene accordandosi alle atmosfere di disillusione e al tono narrativo utilizzato dei testi.
“Est!” è la prima traccia, un brano teso e asciutto che, evocando la repressione della rivoluzione di Praga, parla di libertà, di utopia, di rivoluzione, lette attraverso una disillusione e un dolore che sono sia personali, sia generazionali.
Segue “i tram di Roma”, brano che parla di dignità, di musica e delle vite sospese a metà dei suonatori di strada. Personaggi a metà tra l’artista e l’accattone, ignorati dai pendolari indifferenti, ma di fatto portatori di cultura.
Viene poi “caro amore”, brano personale ed evocativo, che parla di un amore vissuto sullo sfondo della lotta politica. Cracovia è appena citata, ma è abbastanza per contestualizzare una storia
Con “il naufragio del Kater I” si incontra il brano forse più evocativo. Brevissimo, senza fronzoli, è costruito attorno a pochi elementi, capaci di dire tutto: speranze, nostalgia, la fuga da un’Albania che non si vorrebbe lasciare. Poi, il nulla.
Sullo sfondo della “canzone di Chiara”, ci sono la guerra, le bombe, la fuga da un orrore per trovarne un altro, in una Milano indifferente a qualsiasi dolore e spietata, grigia e morta dentro.
Ultimo brano è “pazzi in normandia”, il racconto di un uomo, solo, diviso tra le proprie scelte e l’ineluttabilità di un destino segnato. Un pezzo criptico che, parlando di destino e di scelte, chiude questo micro-album senza apporvi una vera fine.
Nel complesso, Est! è un lavoro veramente godibilissimo, costruito con cura e che propone testi e sonorità apprezzabili da un pubblico trasversale molto ampio. Da scaricare e ascoltare con attenzione.
Giulio Focardi