“A Sparkle on the dark water”. Pinhdar. Recensione
Evocativo e pulsante. Tornano Cecilia Miradoli e Max Tarenzi sotto il marchio Pinhdar, combo trip hop in grado di donare moti emozionali carichi di trame fedeli al titolo di questo secondo album che arriva a distanza di tre anni da Parallel.
Il mondo cucito dalla band sembra volersi perdere tra elettronica e dark wave, sviluppando piccoli capolavori (Cold River e Home) che segnano un sentiero elegante e claustrofobico, pronto a trovare il suo climax naturale nei passaggi di Murders of a dying God. La traccia, narrativa e sofferente, rende merito alla vocalità “lennoxiana”, qui appoggiata agli inquieti passaggi chitarristici, perfetti nel loro acuire tonalità nereggianti.
L’album anticipato dalla disturbante Humans, mostra una rara raffinatezza espressiva, il cui battito ci trascina tra le note di Abysses, arrivando a giocare con venature Portished, e At the gates of Down, chiusura semplicemente straordinaria, non solo per la sua aurea Disintegration, ma anche per quella innata capacità di sollevare i pensieri di chi deciderà di osservare in maniera attentiva un disco che nasconde una riuscita magicità.