Oslo Tapes – Staring At The Sun Before Goin’ Blind. recensione
Posto al centro del vertice Echodelick Records, Sound Effect Records e Grazil Record, ecco il quarto album di Marco Campitelli, estroso artista dedito a ipnagogiche geometrie emozionali, come dimostra lo straordinario anthem Ravity. Proprio l’incipit di questo nuovo Staring at the sun before goin’blind rappresenta un crocevia posto tra le sonorità nordiche di Ágætis byrjun e le melanconie di Disintegration.
Basterebbe il brano di apertura per convincersi (sin dal primo ascolto), ma con uno sguardo attentivo verso l’ipnotica a wateriana Ethereal song, troviamo la conferma grazie ad un’inquieta suite, che fagocita la quotidianità per macinarla su linee ridondanti e surreali.
L’album, prodotto da Amaury Cambuzat (ex Ulan Bator) sembra voler subire influssi differenziati, da cui emergono pelli spigolose (Deja neu) e a tratti industrial jazz (Reject yr Regret), pronte a cibarsi di idee narrative che chiudono le serrande alla mera banalità.
Il disco, promosso da Peyote, costruisce le proprie sensazioni attorno a divagazioni ben strutturate (Like a Metamorphosis), in cui la quattro corde funge da battito vitale (Somnabulist’s daydream), pronto a disegnare gli impulsi di una brano senza tempo: Staring at the sun before goin’ blind. Una traccia in grado di avvolgere l’ascoltatore astraendolo dal reale, per portarlo in un altrove liberatorio, proprio come questo disco introspettivo e piacevolmente narrativo.
Fidatevi, un piccolo capolavoro undeground, che darà senso di piacevole continuità a chi ha amato Sigur ros, Cure e Can.