Bardomagno: la locanda suona il rock
Recensire un disco dei Bardomagno è come sparare sulla Croce Rossa, nel senso che il suono impera sovrano da dentro il suo feudo di qualità tecnica, compositiva, dentro liriche studiate con intelligenza e quell’ironia acuta che trasforma concetti anche fastidiosi in autostrade dritte e scorrevoli per le orecchie di chiunque. “Li bardi son tornati in locanda” segna il ritorno dopo qualche anno da “VOL.1” e, come recita la prima take, sembra proprio che Dio l’abbia voluto.
Il linguaggio neo-medievale dentro finiture che di base sono Rock – epico in un modo che non è di quell’italiano medio che fa il verso ai grandi dischi epocali – ma davvero ha quelle tinte scure e massicce di una produzione che suona internazionale fin dentro le ossa. Altissima la risoluzione dei cori, sembra di trovarsi di fronte a vere e proprie orde di bardi affamati in una lotta di classe. Magistrale l’equilibrio di batterie e chitarre che forse proprio in questo dettaglio sfoggiano il vero quid americano del disco. Disco che non suona solo in preda al crossover stelle e strisce ma, come ad esempio in “Clodoveo”, si macchia di leggerissimo pop quanto basta, di ballate quasi dance da balere dentro “Game of Signorie”, cita “Volta la carta” di Faber in “La cintura di castità”, si tinge di Irish in “Son Rodrigo avea Ragione” e diviene quasi sigla di cartone animato alla “Ken il Guerriero” quando suona “Nel mio Feudo”.
Feudalesimo e libertà lo abbiamo conosciuto tutti, molti dei nostri lettori saranno sostenitori di questo che trovo una delle principali realtà di intelligente critica sociale che i social potessero consegnare alla folla. La sua deriva discografica, i Bardomagno appunto, non poteva essere da meno. “Li bardi son tornati in locanda” avrei anche voluto sentirlo girare su vinile e penso che dal vivo, tutto questo suono, arrivi a vette ancora più alte di coinvolgimento e di empatia… per i bardi sempre!!!