Lou Mornero “Grilli”, recensione
Una serie di dipinti estranianti, narrativi e diversificati, avvolti da sensazioni poetiche che dal trip hop giungono al blues, attraverso virate tribal, indie e soul. Ecco a voi l’atelier di Lou Mornero, cantautore meneghino abile nel costruire (assieme ad Andrea Mottadelli) una struttura sonora bilanciata e accorta.
Un suono lieve, reiterato che guarda ad oriente introduce Grilli, overture semi strumentale, in cui il mood narrativo dell’autore ci invita ad attraversare una porta percettiva ,che trova il suo atto primo tra le note cadenzate di La cosa vuota. La traccia, filtrata e minimale, si racconta attraverso sensazioni indie pop, che divengono empatiche nel cuore della composizione. Il loop strutturale si sposta poi verso la dolcezza osservativa di Acquario, in cui l’ascoltatore riesce a cullarsi con i lievi e poetici cromatismi. Le dita sulla sei corde si mostrano, infatti, il binario su cui si appoggiano ritmiche scarne e vocalità espressiva, disegnando la voce come attributo sonoro aggiunto. Un’apertura narrativa che vira poi verso Happy birthday songwriter che, tra ironia e striature vintage, gioca con la set list fino all’impronta anni ’90 di Piccolo Tormento. La composizione, basata su parametri blues, riporta a galla alcuni sentori Manuel Agnelli, mostrando il fianco a quel movimento underground che inseguivamo sino a qualche tempo addietro. La composizione, a mio avviso tra le più interessanti del disco, offre uno sguardo electro-pop aggiuntivo, in grado di risplendere di luce propria.
Insomma…un albo che, pur lontano da intenti germinali, sembra voler raccontare con piacevolezza storie senza grilli per la testa…