Storia di una … (The) Band – Parte quarta
Il 28 agosto del 1965 è una data storica del rock: la svolta elettrica di Bob Dylan.
E la storia di questa svolta non può essere esclusa dalla storia di The Band.
In realtà proprio come per la storia vera anche nella storia del rock esistono convenzioni: nel luglio dello stesso anno Dylan ha già suonato “elettrico” al Festival Folk di Newport con la band di Paul Butterfield: in quella circostanza la reazione del pubblico fu violenta al punto da obbligare alla sospensione del concerto finché Dylan tornerà sul palco da solo e con la chitarra acustica.
Robbie Robertson dirà: “Il mondo del folk è così, vogliono la loro musica e basta.”
Il fatto è che in quegli anni il folk non era solo musica; essere folk era un modo di vita prima che un genere musicale, e la musica folk era la musica di chi rifiutava la cultura della massa dominante e questo rifiuto si esprimeva anche attraverso forme di luddismo, di rifiuto della modernità (come ha ben ricordato Bob Dylan in Chronicles).
In ogni caso la svolta elettrica e blues/rock di Bob Dylan era già negli album: nella primavera di quel 1965 ha registrato “Bringing it all back home” il suo primo album elettrico, ma già in “Another side of Bob Dylan” dell’anno prima un orecchio attento percepisce che il ragazzo (Dylan è del 1941) sta cambiando e che la sua musica adesso sprizza da ogni nota il desiderio di una band elettrica che la sostenga; così come i testi rivelano una vena introspettiva e i primi esempi di poesia a mezza via tra il beat e il surrealismo, tutto fuorché temi folk insomma.
Levon & The Hawks non sono noti al grande pubblico, ma nell’ambiente musicale hanno reputazione di essere il miglior gruppo in circolazione: niente di più naturale che Bob Dylan – artista in ascesa prepotente cui ormai va stretta l’etichetta di cantautore folk – li voglia con sé.
Non è proprio amore a prima vista: a Forest Hills Dylan vorrà solo Robbie alla chitarra e Levon a battere i tamburi, mentre dall’altra parte c’è perplessità sulle sue canzoni.
Robbie Robertson: “proprio non capivo cosa ci facessero tante parole in una canzone”.
Ma torniamo a Forest Hills, Levon Helm: “L’atmosfera era tesa già al sound-check, si capiva che sarebbe stata una serata storica anche in quel momento, quando i 15mila posti dello stadio del tennis erano ancora vuoti. Eravamo Robbie alla chitarra, io alla batteria, Al Kooper all’organo e Harvey Brooks al basso. Dylan non era tipo che parlasse molto, ma si vedeva che l’uomo era un vulcano. La stampa cominciava a definire la sua musica folk-rock, ma questa etichetta andava bene per gruppi come The Byrds che facevano cover dei suoi pezzi. Io sentivo che presto quest’uomo avrebbe cambiato l’intero panorama della musica americana.”
Quindicimila posti possono sembrare pochi, ma siamo nel 1965, i concerti rock come li conosciamo oggi non esistevano, allora un’arena come Forest Hills era posto per colossi del calibro di Frank Sinatra, il fatto che Dylan a 24 anni e con appena 4 album alle spalle fosse in grado di riempirla dà un’idea della statura del personaggio: Bob Dylan da quella sera d’agosto in avanti rivoluzionerà ogni aspetto del mondo della musica. Il concerto si apre con Dylan solo sul palco per un set acustico, dopo 7 brani Bob va dietro le quinte, abbraccia i suoi 4 musicisti e dice: “Non sappiamo che succederà. Potrebbe essere una roba fuori di testa. Voglio che una cosa sia chiara ragazzi: per quanto folle diventi la situazione, fregatevene e continuate a suonare.”
Levon: “I primi buu ci furono quando salii sul palco a sistemare i tamburi. Attaccammo con “Tombstone blues” e quando Robbie partì con il primo assolo di chitarra il pubblico reagì come fosse stato investito da una scarica di mitragliatrice. C’era anche gente che applaudiva però, gli altri gridavano cose tipo: il rock&roll fa schifo! Dov’è Dylan? Traditore! Suona musica folk! Poi si scatenò una rissa tra gente folk e gente rock, e poi ecco un pazzo che si arrampica sul palco e stende Al Kooper. Bob Dylan rideva.”
Una settimana dopo davanti ai 18mila dell’Hollywood Bowl di Los Angeles le cose andranno meglio, ma sia come sia dopo l’episodio di Newport Dylan ha deciso di infischiarsene e di andare dritto per la sua strada.
Dopo i concerti di New York e di Los Angeles nasce un sodalizio che farà storia: Levon e Robbie dicono chiaramente a Dylan che se vuole loro deve prendere tutta la band, Bob risponderà: “dove posso sentirvi suonare?”
Una settimana dopo Bob Dylan è a Toronto per assistere a una serata di Levon & The Hawks: amerà la band e sarà sconcertato dalla bravura di Garth Hudson. A fine settembre iniziano così a girare gli Stati Uniti, i manifesti annunceranno Bob Dylan + Levon & The Hawks, i migliori teatri del paese saranno tutti per loro, a cominciare dalla Carnegie Hall di New York. Lo scontro con gli amanti del folk non finirà: mentre il pubblico del Texas sembra apprezzare, nelle città dell’Est i fischi sono un rituale, anche perché la cosa riceve molto risalto dai giornali e così la gente va ai concerti pronta a fischiare non appena compare la band; a Chicago scoppiano risse e quando il gruppo lascia il palco a fine spettacolo Bob Dylan è assalito da una ragazza armata di forbici, non si sa se intendesse fargli male o tagliargli una ciocca di capelli.
Sul piano musicale non è proprio una festa. Bob Dylan e la band provengono da mondi opposti: Levon & The Hawks erano una band dalle mille influenze, ma il folk non era parte del loro bagaglio; Bob Dylan – pur avendo fatto parte di un gruppo da ragazzino – era nato e cresciuto da solo sul palco e per abituarlo ad essere il cantante di una band e quindi ad usare la voce diversamente occorrerà tempo. Al tempo stesso Dylan ha voluto per sé la band “underground” più forte del momento, ma questa è una rock&roll band dal suono molto preciso, Dylan invece vuole sonorità crude e sporche, blues: ancora 40 anni dopo la reazione del pubblico pur esagerata – e come già detto dovuta a motivi non solo musicali – appare comprensibile, la differenza tra la prima parte del concerto – Dylan da solo con chitarra e armonica – e la seconda con il gruppo è lacerante.
Questa musica l’abbiamo ascoltata per anni grazie a registrazioni bootleg, poi nel 1998 dagli archivi della Columbia è uscito ed è stato pubblicato in un doppio CD il concerto mitico di quella tournée, quello alla Royal Albert Hall di Londra. Questo CD – oltre a proporre una qualità musicale superiore – ha sfatato un mito: il concerto registrato è quello di Manchester nel maggio del ’66, una settimana prima della data di Londra. Si tratta di 2 CD che rispecchiano la duplice natura del concerto: nel primo abbiamo 7 brani acustici di Dylan, nel secondo la band lo accompagna per 8 pezzi. Vediamo il secondo CD nel dettaglio.
1 – Tell me, Momma
2 – I don’t believe you (She acts like we never have met)
3 – Baby, let me follow you down
4 – Just like Tom Thumb’s blues
5 – Leopard-Skin Pill-box hat
6 – One too many mornings
7 – Ballad of a thin man (popolarmente nota come Mr. Jones)
8 – Like a rolling stone (popolare e basta!!)
La vocalità di Dylan è disuguale, anche nel corso della stessa canzone; colpisce come sempre il lavoro instancabile dell’organo di Garth Hudson, autentico architetto della musica del gruppo, e stupiscono gli assolo di Robbie Robertson: molti dicono che per Robertson sia stata una jella essere canadese e non inglese, perché con la sua chitarra ha fatto per anni inosservato a Toronto quello che i vari Beck, Clapton e compagnia schitarrante avrebbero fatto 5 anni più tardi a Londra.
In questo concerto alla batteria manca Levon Helm – che nel dicembre del ’65 ha lasciato la band per motivi personali: incompatibilità caratteriale con il manager di Dylan (Albert Grossman), poca voglia di fare il batterista di qualcuno, il palco è tutto di Dylan, la band lavora nell’ombra, gran parte del pubblico crede persino che gli assolo di chitarra siano di Dylan.
Ma Helm è in errore, la collaborazione con un’artista rivoluzionario come Dylan sarà fondamentale per la crescita della band, nel corso della tournée che dopo gli Stati Uniti andrà in Australia ed Europa si cementerà il rapporto tra Dylan e il gruppo: il cantautore entra nel mondo sonoro della band e la band entra nel mondo poetico e musicale di Dylan, soprattutto Robertson e Manuel capiscono cosa significa scrivere una canzone; e poi Bob Dylan è spesso in compagnia di poeti, prima di tutto quelli della beat generation a cominciare da Allen Ginsberg, e certe compagnie portano frutti, espandono la mente.
A Londra tra il pubblico ci sono i Beatles, che finito il concerto si recheranno nei camerini per congratularsi: essere la band di Dylan porta rispetto e mette in risalto la bravura. Quella stessa sera parlando con Keith Richards Dylan gli dirà che The Hawks sono la miglior band al mondo, e a Keith che gli chiede “e gli Stones che sono?” Dylan ripeterà: “The Hawks are the best band.”
Con la fine del tour non termina la collaborazione, la band prende casa nella stessa località di montagna nel Nord dello stato di New York – tornerà anche Levon, che vive lì tuttora – dove da qualche tempo risiede Bob Dylan, convalescente dopo l’incidente in motocicletta dell’estate del 1966.
La cittadina si chiama Woodstock, la casa è Big Pink.