Malignance “Dreamquest:the awakening”, recensione
Sono passati ormai 20 anni da quando la nera alba del Black Metal ha visto sorgere le fauci dei Malignance. Da allora, tra cambi di line-up e mutazioni stilistiche, la curva di gauss della band ha segnato importati punti nodali, che hanno portato Arioch nuovamente sotto il gonfalone della Black Tears, qui pronta a licenziare un disco in cui perdersi.
L’impulso iniziale, spinto da un atteso blast beat, ci invita a percorrere nere dimensioni, pronte ad evocare oscurità sinistre, racchiuse tra vocalizzi sofferenti e songwriting narrativo, in cui si innestano amene formule nereggianti. Da qui si riparte verso il nord più pece, per incontrare gli “dei della guerra”, la perdizione e il marciume percepito, mostrato da una linea vocale intelligibile, sostenuta con naturalezza da armonie e strutture, che si allontanano dalle germinale intuizione del true norwegian Black Metal per riferirsi alla dimensione più swedish.
La set list prosegue in maniera lineare con i cambi direzionali di Dreamquest, per pui ritrovare il suo apice narrativo tra le note di Chaak che, con le sue atmosfere Marduk si palesa come un vero e proprio anthem, in grado di coniugare estremità e melodia. Sul medesimo piano si pone poi anche The crossbowan, in cui il One Man band mostra momenti ispirati, in grado di saturare uno sguardo freddo ed evocativo.
Se poi con Fanthomless eccessi armonici mi hanno (soggettivamente parlando) fatto storcere il naso, si torna nella giusta linea con A Ritual and Sekhet-aarn, nelle quali Arioch gioca con l’antico passato, mostrandosi in grado di raccontare attraverso uno stile narrativo accorto, non così facile da trovare nel contemporaneo mondo Black Metal.